Burocrazia sotto accusa
Ma è solo un terminale

Siamo sempre in attesa dell’annunciato decreto semplificazione, che ha importantissime implicazioni di metodo politico e potrebbe dare o non dare il segnale di esistenza di un’idea del Paese post Covid. Temiamo che non sarà una partita facile. Un conto è mettersi attorno al tavolo per distribuire 80 miliardi senza toglierli a nessuno, cioè senza tagli corrispondenti, occasione mai capitata ad un esecutivo del nostro Paese, trattandosi di fondi a debito addirittura incoraggiati dalla matrigna Europa. Si può litigare, ed è successo, ma tra chi offre bistecche e chi offre champagne un accordo alla fine lo si trova. Un conto diverso è modificare le cattive abitudini della politica, che dovrebbe vivere di compromessi faticosi ma positivi, e preferisce ormai l’unilateralità degli annunci o – all’opposto – i veti, perché i proclami polarizzano i consensi.

E così anziché semplificare le cose si finisce per sommarle e renderle più complicate: la coda velenosa di qualche no resta sempre tra le pieghe di un testo o rinvia ad un provvedimento attuativo che poi non si fa. Anche per la pur «facile» distribuzione di 80 miliardi si calcola che occorrerà passare tra le forche caudine di 150 di questi decreti amministrativi…

Eppure, a parole, la semplificazione la chiedono tutti. Non ci illudiamo che possa essere il metodo Genova (ponte Morandi ricostruito in meno di due anni) come il buon senso suggerirebbe, ma qualcosa si farà. Per ora è facile prevedere che si darà innanzitutto colpa alla burocrazia. Lungi da noi difenderla, perché è dai tempi in cui Tocqueville segnalava la continuità burocratica tra l’Ancien Regime e la Rivoluzione, che sappiamo quali siano i suoi difetti. Innanzitutto, l’autoreferenzialità, cioè la costituzione di una casta che si esprime con un suo linguaggio da iniziati, che si preoccupa quindi di non farsi capire dal normale cittadino e anche dai referenti politici, che alla fine sono costretti a subirne i diktat. Roma e, da 50 anni esatti, tutte le capitali regionali sono il terreno di cultura dei burocrati, dominatori del passaggio delle carte, della loro velocità, del loro inabissarsi nel nulla o del loro riapparire sulle scrivanie giuste. Tra i tanti luoghi comuni del programma iniziale 5Stelle, ormai sepolto, c’era anche questa promessa, ma ci ha pensato il partito trasversale dei capi di Gabinetto ministeriali a rendere ancor più feroci i boomerang burocratici, profittando dell’inesperienza pentastellata, con l’aggiunta di veleni alla Giustizia, di pasticci anti occupazione al Lavoro eccetera eccetera.

Sparare sui burocrati è facile, ma vien voglia di difenderli se non si ha l’onestà di riconoscere che sono solo i terminali professionali di un circuito vizioso, che comincia già da noi cittadini. È l’opinione pubblica, infatti, che chiede continuamente nuove regole, nuove leggi, nuovi reati per rimpinguare codici che è dai tempi degli antichi romani che di per sé prevederebbero tutto. Appena il tg dà una notizia sulla corruzione, o un incidente stradale è più grave del normale, scatta la richiesta di nuovi reati, nuove leggi, nuove restrizioni. Il risultato è che o si fa come la Raggi che non vuole le Olimpiadi perché è sicura che vi saranno bustarelle, o si aggiunge qualche riga ai Codici, e la legislazione diventa un intreccio inestricabile. Metterci mano ora che si deve rilanciare l’economia, fare le infrastrutture senza bloccarsi per il veto di qualche localismo, occorre volontà politica chiara. E qui vedremo alla prova il Governo, perché occorre coraggio, mentre c’è già un Del Rio che ammonisce di non toccare il «suo» codice degli appalti, croce di tutti i lavori pubblici e privati. Notizia di inizio settimana: 5 cantieri Tav aperti in Francia, zero in Italia. Già molti decenni fa il governatore Carli denunciava i «lacci e lacciuoli». Ci decidiamo a slegarli?

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