Bufera Trump, ultima chiamata per l’Europa

MONDO. Trump c’è o ci fa? Vuole rendere «grande» l’America, costi quel che costi a nemici e persino ad alleati, o la sua è una politica del «colpisci e terrorizza» per poi trattare da una posizione di forza?

Lasciamo da parte per il momento il complesso dei proclami, degli stessi decreti resi immediatamente esecutivi, relativi alla politica interna ed estera, con cui il presidente degli Stati Uniti ha iniziato il suo quadriennio. Non perché non meritino una seria riflessione, vista la portata inaudita degli sconvolgimenti che annunciano, ma solo perché urge per noi italiani ed europei prendere coscienza innanzitutto delle conseguenze che avrà la bufera annunciata.

Gli Usa hanno un pesante deficit nella bilancia commerciale, che il presidente è deciso a riequilibrare. Dazi significa rincaro delle merci esportate: a seguire, calo del fatturato delle aziende esportatrici e, di riflesso, dell’occupazione, nonché spinta all’inflazione per il prevedibile, corrispettivo rincaro delle merci importate.

Dati e investimenti militari

Due sono le misure in particolare che minacciano di incidere pesantemente sulla salute, forse sullo stesso destino del Vecchio continente: l’introduzione di dazi e la richiesta ultimativa di un pesante impegno finanziario sul bilancio militare. In molti pensano che Trump, battendo i pugni, faccia la parte del negoziatore interessato in seguito a trattare. Resta il fatto che ai dazi non rinuncerà. Gli Usa hanno un pesante deficit nella bilancia commerciale, che il presidente è deciso a riequilibrare. Dazi significa rincaro delle merci esportate: a seguire, calo del fatturato delle aziende esportatrici e, di riflesso, dell’occupazione, nonché spinta all’inflazione per il prevedibile, corrispettivo rincaro delle merci importate. Per non dire dei danni di sistema che genera una svolta protezionistica. La storia ci insegna che questa non porta mai bene. I dazi frenano il commercio e spingono gli Stati verso un isolazionismo, il che genera a sua volta suggestioni nazionaliste. Ognuno per sé e tutti contro tutti. Gli anni «entre deux guerres» sono lì ad ammonirci sui disastri che una tale deriva può procurare. Sono stati gli anni della grande depressione.

La storia ci insegna che questa non porta mai bene. I dazi frenano il commercio e spingono gli Stati verso un isolazionismo, il che genera a sua volta suggestioni nazionaliste. Ognuno per sé e tutti contro tutti

Ai danni economici dei dazi, la svolta di Trump ci annuncia danni anche finanziari per gli stanziamenti richiesti sul bilancio militare. È impensabile il passaggio, ventilato dal neo presidente degli Stati Uniti, dall’attuale 1,5% al 5% del Pil. Comporterebbe un esborso di 100 miliardi annui, per noi insostenibile. Un aumento comunque ci dovrà essere, con buona pace dei vincoli alla spesa derivanti dal nostro colossale debito pubblico e dal Patto di stabilità europeo. Non ci aspettano, insomma, tempi facili.

La fatica dell’Europa

Il grave è che, se l’Italia non è messa bene per affrontare la sfida Trump, gli altri Paesi europei non sono messi molto meglio. Non è messa per niente bene la nostra casa comune, l’Ue. Si può, anzi, dire che stia toccando il fondo della sua crisi. Non dispone più del traino della locomotiva economica della Germania. Non ha più nemmeno quel surrogato di guida politica rappresentata dal tandem Germania-Francia, entrambe in tilt. Mentre il mondo corre sulla strada dell’innovazione tecnologica, Bruxelles è bloccata da un sistema di governo che richiede l’unanimità dei suoi 27 Paesi membri. Risultato: nella gara mondiale allo sviluppo la nostra Europa si vede confinata nelle ultime posizioni. Non compare in prima fila in nessuna delle frontiere della grande innovazione. Per avere un’idea del suo ritardo, basti ricordare che Draghi ha calcolato in 800 miliardi lo stanziamento necessario per tentare un recupero. Un altro dato che fa riflettere. Interrogati su quali monete di riserva prevedono saranno adottate tra 25 anni dagli Stati di tutto il mondo, finanzieri e imprenditori presenti al recente World Economic Forum Davos hanno escluso che tra queste ci possa essere l’euro. Quando sui mercati una moneta non gode fiducia, c’è di che preoccuparsi.

Serve un intervento condiviso

Tra una settimana si riuniranno i 27 capi di governo europei per concordare una linea comune in tema di difesa europea. Auguriamoci che in quella occasione l’Ue batta un colpo: che l’emergenza faccia scattare una energica reazione, come - e più - di quella avuta per fronteggiare prima il Covid e poi l’invasione russa dell’Ucraina. Il treno in corsa della rivoluzione tecnologica e della ridefinizione degli equilibri del mondo non aspetta i ritardatari.

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