Bruxelles crocevia
di speranze e interessi

Il Consiglio europeo è cominciato all’insegna del pessimismo tattico. Tutti vedono nero. Ma tutti sanno che il vertice (il primo in presenza dopo il Covid) è – come ha detto Mattarella – «decisivo». E quindi che uscirne con un fallimento sarebbe un disastro per tutti che fatalmente smuoverebbe i mercati. Ma come quadrare il cerchio? Ieri le prime schermaglie hanno riproposto la frattura Nord-Sud e hanno fatto balenare quella Ovest-Est, con i cosiddetti «Paesi di Visegrad» (soprattutto Ungheria e Polonia) pronti a guadagnare il più possibile senza cedere sui diritti civili. Ma la battaglia vera è quella tra i «frugali» e i «mediterranei». In questa circostanza la Germania non spalleggia i Paesi dell’ex area del marco ma cerca una mediazione: la presidente di turno Angela Merkel pretende per sé un risultato che ne glorifichi la leadership, e sta lavorando per questo.

La prima pretesa dell’olandese Rutte è stata bocciata subito. L’Aja si è ritrovata isolata nel chiedere che la valutazione sul piano di impieghi che ciascun Paese presenta per ottenere la sua parte di Recovery Fund avvenga in sede intergovernativa (Consiglio europeo) e non comunitaria (Commissione) e che la votazione avvenga all’unanimità. In pratica: se agli olandesi non va bene il nostro sistema pensionistico, vota contro e a noi i soldi non arrivano finché non cambiamo politica. La reazione di Conte è stata molto aspra («proposta incompatibile con i Trattati e impraticabile sul piano politico») ma persino gli altri «frugali» hanno lasciato solo Rutte. Il premier olandese tuttavia sui giornali di oggi del suo Paese mostrerà di aver fatto il viso dell’arme agli italiani spendaccioni, agli spagnoli pigri e ai portoghesi avvinazzati. Non solo, potrà giovarsi di aver risposto «Non la beviamo!» a Conte che gli dimostrava che la sua proposta era inattuabile.

Fine del primo round. Da una parte, quella «frugale», si cerca di: a) diminuire il totale del Recovery Fund e ridurre se non azzerare la parte di sussidi mantenendo solo i prestiti, b) controllare il più possibile come vengono spesi i soldi, c) accelerare sul ripristino del famigerato Piano di Stabilità sospeso per via del Covid, d) diminuire l’ammontare del Bilancio europeo.

Dall’altra parte – italiani, spagnoli, francesi, portoghesi – a) si difende il totale del Fondo ma con disponibilità a qualche limatura, b) si cerca di mantenere in capo alla Commissione (ma su questo Macron si smarca) il controllo delle spese; c) si pensa di mettere il veto sugli sconti che i Paesi «frugali» ottengono nelle quote che versano al Bilancio europeo per via del limitato ricorso che essi fanno alle risorse comunitarie. Quest’ultima sembrerebbe l’arma più efficace: gli olandesi, da Paese mercantile, sono molto sensibili a tenersi gli sconti. Quanto alla loro pratica scorretta di dumping fiscale, che danneggia i partner, per il momento non è stata messa sul tavolo.

La debolezza dell’Italia sta nel fatto, tra l’altro, che Conte si presenta a Bruxelles senza aver ancora presentato un piano preciso di riforme e senza avere un mandato chiaro sul Mes. I «frugali» pensano che se noi chiediamo quel prestito di 36 miliardi per le spese sanitarie, diamo la garanzia di una buona volontà riformatrice. Ma a Roma i grillini, in compagnia dell’opposizione «sovranista», non ne vogliono sentir parlare. Tant’è che la risoluzione parlamentare approvata l’altro giorno in vista del Consiglio europeo non esclude ma nemmeno prevede il ricorso al Meccanismo di Stabilità. Questo nel round di oggi (e forse domani) sicuramente peserà.

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