Bombardare un popolo: non ci sono attenuanti

ESTERI. Secondo un rapporto dell’Onu è il Paese più letale al mondo per i civili che vivono nelle zone popolate. In Ucraina le armi esplosive con un’ampia area di impatto hanno causato il 93% di tutte le vittime non militari.

L’escalation della guerra avviata dal Cremlino nel famigerato 24 febbraio 2022 ha provocato più di 24mila morti tra i civili (almeno 1.500 erano bambini) «ma la cifra reale potrebbe ammontare almeno al triplo» secondo le Nazioni Unite. Il comando dell’Aeronautica ucraina ha dichiarato che soltanto a maggio sono stati lanciati sul Paese 107 missili e 100 droni esplosivi, con un aumento del 28% rispetto ad aprile. In un solo anno sono stati 4.750 i raid su città e villaggi presi di mira dagli occupanti, luoghi privi di assembramenti militari e lontani dal fronte (concentrato nel Donbas). Nello stesso arco di tempo in Ucraina le sirene antiaeree sono suonate 36mila volte, 1.120 a maggio e la metà durante la notte, tra le 22 e le 5 del mattino.

«Le famiglie e i bambini rischiano di non sentire l’allarme durante il sonno e di non svegliarsi - ricorda in un comunicato l’ong Save the Children, presente in Ucraina con progetti di sostegno ai minori - e quindi di essere uccisi o feriti dai raid o dalla caduta di detriti. I bombardamenti costanti e il continuo suono delle sirene sono incredibilmente angoscianti per i piccoli e per le famiglie, costretti a rifugiarsi nei sottoscala e nelle cantine o ad allontanarsi dalle proprie abitazioni per individuare un bunker senza finestre». Kiev ha subito raid missilistici notturni in 9 degli ultimi 10 giorni, con attacchi aerei eccezionalmente intensi il 16 maggio scorso. Quella notte la difesa ha abbattuto 18 missili sulla capitale, creando una serie di esplosioni che hanno provocato la caduta di detriti nelle zone residenziali.

«I bambini in Ucraina, ancora una volta, stanno subendo sulla propria pelle gli effetti del conflitto, mentre miriadi di missili e droni vengono lanciati su tutto il territorio. Una notte sono volati così vicino al quartiere in cui vivo che potevo sentire il rombo dei loro motori. Poi, lampi luminosi hanno rischiarato il cielo e le pareti e le finestre del mio appartamento hanno tremato, mentre la difesa aerea abbatteva obiettivi sopra le zone residenziali» ha dichiarato Sonia Khush, direttrice di «Save the Children» in Ucraina, per la quale «è puro terrore per i bambini svegliarsi di notte per orrori del genere ed essere costretti a rinchiudersi nei bunker per ore invece di dormire sonni tranquilli. Il bilancio sulla loro salute mentale è già più che pesante dopo 15 mesi di guerra e i continui attacchi aerei non fanno che aumentare l’immensa angoscia che hanno provato». In un anno di conflitto, sempre secondo l’Onu, i raid russi hanno distrutto 198mila edifici civili comprese scuole e ospedali (l’ultimo venerdì scorso a Dnipro). A fronte di questi numeri e di altri (6milioni di sfollati, 7 milioni di profughi, un ucraino su tre che non vive più nella propria casa, cittadine come Irpin e Borodyanka distrutte all’80%) dovrebbe essere ormai evidente che l’aggressione ha come principale obiettivo i civili, per piegarli e costringerli alla resa se non alla fuga.

Nella diffusa affermazione «condanno l’invasione dell’Ucraina, ma...», il «ma» è di troppo. Contestualizzare il conflitto è un giudizio che deve stare su un piano nettamente separato, non avversativo rispetto alla censura di manifesti, gravi crimini. Non si può dare alcun alibi o ragione all’accanimento in corso su un intero popolo. Almeno che si creda, come il generale prussiano Carl von Clausewitz, che «la guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi».

Ogni guerra invece è la sconfitta della politica. Si dice che in Ucraina parlano solo le armi. Ma dall’inizio dell’invasione ci sono stati tentativi di allacciare fili diplomatici. Il presidente Volodymyr Zelensky cercò per tre volte un contatto con l’omologo russo Vladimir Putin ma fu respinto ed è stato il leader ucraino che ha tentato con più insistenza una soluzione negoziata al conflitto nel Donbas (è storia, facilmente verificabile, non propaganda). Sono agli atti anche le lunghe telefonate fra leader europei e il Cremlino. Sono agli atti pure il piano di pace di Kiev (depositato all’Onu), quello italiano e la proposta cinese che purtroppo nelle scorse ore ha confermato una grave ambiguità: riconosce la sovranità territoriale ucraina ma non specifica dentro quali confini. La definizione dei quali è arrivata venerdì scorso da Li Hui, rappresentante speciale di Pechino, dopo incontri in Europa: parlando da Mosca, ha chiesto la permanenza nella Federazione russa delle quattro regioni ucraine occupate. Ancora venerdì Kiev ha rilanciato la sua proposta chiedendo che sia discussa a luglio in un vertice per la pace. Il presidente Luiz Inacio Lula vuole invece che a mediare sia un gruppo di Stati non coinvolti nel conflitto: il suo Brasile con India, Indonesia e Cina. Non ultima, l’iniziativa del Vaticano: la Santa Sede ha incaricato il cardinale Matteo Zuppi di incontrare separatamente Zelensky e Putin.

Ma per essere efficaci, le diplomazie devono tenere conto di un’evidenza drammatica. L’esito della guerra è considerato esistenziale per le due parti avverse: per il presidente russo perché è in gioco il suo ventennale, spietato potere; per l’Ucraina perché ne va della propria sovranità e indipendenza, sancita anche da Mosca in tre intese (1991, 1994 e 1998). Il negoziato, quando arriverà, dovrà sigillare una pace giusta, sicura e non più violabile, per non riaprire mai più tragiche ferite secolari.

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