L'Editoriale
Venerdì 05 Giugno 2020
Bolsonaro, cronaca
del disastro annunciato
Chiedere una parola di conforto e sentirsi rispondere «Mi dispiace per le vittime del Covid ma moriremo tutti» è un’esperienza poco piacevole. Soprattutto in un Paese come il Brasile che procede al ritmo di mille e duecento vittime al giorno e che entro l’estate, secondo le proiezioni, dovrebbe sfiorare i centomila morti. Ma è toccata a una cittadina che, non avendo ancora afferrato l’indole del presidente Jair Bolsonaro, proprio a lui si è rivolta in cerca di comprensione umana. Quello che colpisce di Bolsonaro e del suo Brasile, infatti, non è l’esito disastroso delle strategie messe in atto contro il coronavirus. In tanti altri Paesi, anche se magari in scala minore, sono stati commessi errori gravi sulla base di valutazioni approssimative. Nel Regno Unito e in Svezia, per esempio, al mito della cosiddetta «immunità di gregge» sono state sacrificate le vite di migliaia di persone. In Italia abbiamo avuto la strage nelle case di riposo.
Per non parlare dei silenzi e delle omissioni della Cina o della disorganizzazione degli Usa. Il presidente brasiliano, però, si segnala per una miscela di aggressività, incompetenza e apparente indifferenza alla sorte del suo popolo che in effetti non ha molti eguali. È possibile, con quei dati sul contagio, opporsi al lockdown e parlare di «esagerazione» di fronte agli allarmi? È possibile cambiare due ministri della Sanità nel pieno della crisi sanitaria? Ha senso affidare un ruolo chiave dello stesso ministero a un amico come Carlos Wizard Martins, diventato miliardario con i corsi d’inglese? Non è pericoloso pretendere di fare il presidente-virologo avendo alle spalle l’istruzione ricevuta da ufficiale artigliere?
Ma soprattutto Bolsonaro dà l’impressione di considerare il coronavirus non l’assoluta emergenza del Brasile e del mondo ma solo una delle tante spiacevoli grane di cui deve occuparsi un uomo di potere. C’è l’Amazzonia da sfruttare un po’ di più, ai danni dell’ecosistema e delle popolazioni native. Ci sono le inchieste sui familiari da tenere sotto controllo. C’è l’economia da incentivare secondo i dettami del più classico liberismo, anche se ci sono 15 milioni di disoccupati e 50 milioni di lavoratori informali e non garantiti. Bolsonaro ha trovato persino il tempo, appena prima dell’invasione del virus, per liberalizzare la vendita di armi da fuoco (fino a quattro «pezzi» a testa per ogni cittadino sopra i 25 anni, sempre che non viva in «condizioni di pericolo» per cui potrà averne anche di più) in quello che è già il Paese con il maggior numero di omicidi al mondo (51 mila nel 2018).
Ci stupiamo e lo guardiamo come se fosse un alieno. Ma i comportamenti attuali sono la logica conseguenza del modo in cui Bolsonaro arrivò alla presidenza nel 2019 dopo il breve interregno di Michel Temer e, soprattutto, dopo il crollo del sistema di governo incarnato prima da Luiz Lula (presidente dal 2003 al 2011) e poi da Dilma Roussef, spazzata via dall’impeachment del 2016, nelle prime fasi del suo secondo mandato. Furono soprattutto le accuse di corruzione e gli spettacolari processi ai danni di Lula a favorire la corsa di Bolsonaro, pronto a presentarsi come il grande moralizzatore della politica brasiliana. Il primo strumento della sua propaganda furono le inchieste condotte dal giudice Sergio Moro, guarda caso diventato suo ministro della Giustizia.
La fortuna politica di Moro è stata breve. Nell’aprile scorso è stato costretto a dimettersi dopo essere entrato in urto con il presidente. Non prima, però, che una serie di documenti e intercettazioni dimostrasse quanto fossero state ambigue e mirate le inchieste anti-Lula e anti-Partito dei lavoratori che avevano spianato la strada a Bolsonaro.
È possibile che Moro, dopo aver eliminato Lula e la Roussef, pensasse di poter fare altrettanto con l’umorale e instabile Bolsonaro. Nel qual caso aveva fatto male i conti. Resta il fatto che tra corruzione, inchieste deviate, governi ballerini e nostalgie per la dittatura militare (Bolsonaro voleva istituire una commemorazione ufficiale per il 31 marzo 1964, data d’inizio del regime militare), l’inizio di questa presidenza non poteva far ben sperare. Il Covid, alla fin fine, ha solo dato la mazzata finale.
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