Blocco
dei licenziamenti
I partiti non trovano
il compromesso

Mancano venti giorni alla fine del blocco dei licenziamenti e poi ci sarà un «liberi tutti» che partiti di maggioranza e sindacati temono, e che invece la Confindustria considera inevitabile e non particolarmente doloroso: «Bisogna tornare alla normalità ora che l’economia torna a girare» dice Carlo Bonomi, presidente degli imprenditori. Insomma, secondo viale dell’Astronomia il risultato dello sblocco potrebbe non essere drammatico come si prevedeva fino a qualche tempo fa, per la ragione che per il quinto mese consecutivo la produzione industriale ha ripreso a crescere e anzi ad ottobre l’incremento è stato dell’ottanta per cento rispetto all’anno scorso quando eravamo in pieno lockdown duro.

Mesi fa si facevano previsioni apocalittiche sui licenziamenti possibili - un milione, poi mezzo milione - adesso il ministro del Lavoro Andrea Orlando ammette che non dovrebbero superare i settantamila. Ciò non toglie che il prezzo sociale da pagare sarebbe comunque alto considerando la situazione occupazionale soprattutto giovanile, femminile e meridionale.

Per evitare lo scalino, Orlando aveva fatto un tentativo, forse con troppa destrezza, tanto che l’articolo inserito nel decreto Sostegni bis è stato bloccato da Palazzo Chigi. Il sindacato continua a invocare una ulteriore proroga del divieto di licenziare fino alla fine di ottobre per tutti i settori produttivi e chiede alla politica di fare una scelta. Dall’altra parte della trincea la Confindustria reclama per le aziende una flessibilità che è indispensabile per corroborare la ripresa economica. Come uscirne?

I partiti cercano un compromesso da far passare a livello di maggioranza e poi di governo. Ma per il momento la soluzione non si è trovata. Ognuno ha le sue posizioni peraltro abbastanza influenzate dalle ormai vicine elezioni amministrative e tende a proteggere l’elettorato di riferimento. Caso classico, quello della sinistra della maggioranza, rappresentata da LeU e da una parte del Pd che si schiera decisamente a fianco della Cgil di Maurizio Landini.

All’esatto opposto, la Lega non dice no ad una misura almeno parzialmente di copertura dei lavoratori più a rischio ma teme che poi la trattativa col sindacato porti di nuovo ad un blocco quasi generalizzato dei licenziamenti.

I 5 Stelle si limitano a rifiutare una logica settoriale, cioè a scegliere chi tutelare e chi no. È il Pd del segretario Enrico Letta che prova a costruire un compromesso: 13 settimane di cassa integrazione Covid in aggiunta, quindi dal 1° luglio prossimo alla fine di settembre, per i settori più in crisi (tessile, soprattutto) da individuare in sede ministeriale con accordo sindacale. È anche un tentativo di Letta di «agganciare» la Cgil ma evidentemente al segretario generale Maurizio Landini non basta: la richiesta continua ad essere più ampia, più prolungata e generalizzata.

Peraltro sulla sua proposta lo stesso Landini trova anche il presidente dell’Inps Pasquale Tridico, tecnico di area grillina, mentre l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte invoca una nuova riforma degli ammortizzatori sociali che superi «la logica vetusta dei codici Ateco». Insomma, i pezzi della maggioranza non si incastrano tra loro anche se Pd, 5 Stelle e LeU sono comunque uniti nel chiedere al premier Mario Draghi una qualche forma di proroga.

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