Bipopulismo, l’antidoto è la politica di verità

ITALIA. E’ sempre vigoroso il populismo a due teste, cioè forte sia a destra che a sinistra, e perciò chiamato bipopulismo: vedi risultati tedeschi, in attesa di quelli in bilico negli Usa.

In Italia, la partecipazione elettorale sotto il 50% rende per differenza più evidenti le tendenze che lo nutrono: sovranismo, avversione all’Europa e simpatie filoputiniane. La democrazia è oggi ovunque in affanno, e ha già sperimentato le insidie dell’«iperdemocrazia» di cui, nel suo uomo-massa, parlava Ortega y Gasset tre anni prima dell’avvento di Hitler: la pretesa del cittadino - scrive Giovanni Orsina nel suo libro sul narcisismo della politica - «di governare di persona». È l’«uno vale uno» di Casaleggio ed è la stessa retorica del leader neo nazista Bjorn Hoche. Prima riduce ed esclude la capacità della collettività di autodeterminarsi politicamente utilizzando le sue risorse interne e poi si apre all’iperdemocrazia totalitaria, che vince quando tutti i filtri e le forze intermedie (libera stampa, magistratura non politicizzata, organi di controllo indipendenti, Corte Costituzionale, ma anche partiti e sindacati) vengono spazzati via.

Questa involuzione della democrazia è il frutto, secondo Orsina, del suo essere «intrinsecamente contraddittoria». Intrinsecamente perché si nutre di libertà, e va affrontata non in astratto ma cercando una «manutenzione» democratica fatta di correzioni e bilanciamenti. Ma allora sono importanti anche comportamenti apparentemente minori: fattori micro, quotidiani e insidiosamente capillari, che spiazzano il cittadino comune. Prendiamo alcuni semplici esempi. Ogni sera il Tg1 (e non solo) dedica un siparietto di 5 minuti alle dichiarazioni dei politici, con una rigida tempistica, che ha come unità di misura i 5” riconosciuti per contratto governativo a Maurizio Lupi (1% scarso alle elezioni) e via a crescere fino ai 15/20” dei leader veri. Prima parlano gli esponenti della maggioranza ed è tutto un profluvio di elogi e di traguardi mirabolanti. Subito dopo tocca all’opposizione, e giù critiche feroci. Cosa può capire il telespettatore, come può farsi un’idea? Se gli si dice che l’occupazione cresce come non mai, e subito dopo si reclama un referendum contro lo scandalo del precariato e del non arrivare a fine mese, chi ha ragione? Andiamo bene o è catastrofe? Perché il Pd, al seguito di Landini, vuol cancellare le sue stesse leggi sul lavoro? Perché critica le autonomie differenziate, radicate in una sua riforma anti Lega dei primi anni 2000?

E perché Matteo Salvini fa credere ogni giorno che ha cancellato o cancellerà la legge Fornero, che ha solo costosamente modificato in peggio? Oppure che è contro l’invio delle armi in Ucraina («Solo difensive!», copyright Ungheria) e poi ha votato 9 volte le mozioni per mandarcele? Si risponde che è la politica di governo a imporlo, ma allora come fa il telespettatore a credere ad accettare una politica a due facce, addirittura per definizione?

Sul Foglio, Salvatore Merlo, definisce ironicamente Salvini - mai a parole ma sempre nei fatti - «l’intersezione insiemistica di Giuliano Amato (quello dei prelievi notturni) e Mario Monti (quello dell’austerità)». Quanto a Draghi, ha fatto parte del suo governo e Giorgetti ancor oggi è l’interprete della famosa agenda. Eppure, ogni sera le certezze critiche sono granitiche. E perché il Governo negozia le regole dure della nuova stabilità e i suoi europarlamentari votano contro? Non è serio. E dove sono i blocchi navali della Meloni? Ancora: prendiamo il caso Renzi. Tutti ne parlano male, ma allora perché è sempre sui giornali e alla tv? Chi se ne intende ha una risposta facile: perché «fa» politica.

Ma allora della torsione della politica come arte dell’insindacabile, alla Marchese del Grillo, fa le spese la comprensione del cittadino normale. E come minimo non va a votare. Gli esempi sarebbero moltissimi ed è ingenuo pensare che un po’ di onestà intellettuale renderebbe più accessibili i misteri della politica (che è oggettivamente complicata), ma qualche enfasi in meno e qualche concretezza in più davvero non guasterebbero. Le parole di cruda verità del premier inglese Starmer sono più apprezzabili e utili.

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