Bimbi morti in mare
Non cercate una ragione

Per una volta proviamo a lasciare da parte punti di vista politici, ideologie che annebbiano lo sguardo sulla realtà e le relative parole d’ordine. Poniamoci di fronte a questa tragedia in modo umano: mercoledì scorso, di mattina, un aereo di Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, segnala alla nave della ong spagnola «Open Arms» la presenza nel Mediterraneo centrale di un gommone partito dalla Libia in avaria con 116 persone a bordo, che da 24 ore chiedeva invano aiuto. Quando l’imbarcazione umanitaria lo ha raggiunto, il fondo in legno del gommone aveva ceduto, trascinando nelle acque gelide i migranti. Le operazioni di soccorso hanno permesso di salvarne 111, mentre 5 sono morti. Un filmato documenta la presenza di una donna su un piccolo gommone della ong mentre grida ripetutamente «ho perso il mio bambino, dov’è il mio bambino». Era rimasto aggrappato alle spalle della mamma a lungo, poi a forza di ingurgitare acqua salata ha perso le forze e lasciato la presa. Lo ritroveranno i volontari ancora vivo: portato sulla nave con la madre e gli altri salvati, morirà in serata fra le braccia dei medici di Emergency. Si chiamava Joseph, aveva sei mesi e arrivava dalla Guinea. Dalla «Open Arms» avevano lanciato una richiesta urgente d’aiuto per evacuare i migranti più gravi, tra cui il bimbo.

Sul posto era giunto un elicottero da Lampedusa, constatando «l’impossibilità di assetti operativi degli Stati vicini che potevano utilmente intervenire» si legge nel comunicato della Guardia costiera, che invierà sul posto una motovedetta, giunta in ritardo per salvare Joseph. Non c’è una sola ragione perché accadano queste tragedie evitabili. Dal 2013 al 30 settembre 2019 sono morti nel Mediterraneo oltre 19 mila migranti. Dallo scorso gennaio ad oggi altri 898. Secondo un rapporto dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni, tra il 2014 e il 2018 nel Mare Nostrum hanno perso la vita 1.600 bambini. Sono numeri sottostimati: si tratta di decessi accertati mentre non si ha contezza delle imbarcazioni colate a picco senza aver lanciato Sos. Sono invece almeno 2.000 le vittime dal 2015 lungo la rotta balcanica (che dalla Turchia risale verso l’Europa dell’Est), molti sepolti senza nome lungo la via.

Tra loro anche Alan Kurdi, tre anni, siriano di etnia curda, trovato senza vita sulla spiaggia turca di Bodrum la mattina del 2 settembre 2015. Nel naufragio del gommone sul quale viaggiava verso la Grecia morirono anche la madre e la sorella, mentre si salvò solo il padre. La foto del terribile ritrovamento generò commozione in tutto il mondo e per alcuni mesi sembrò scuotere anche i leader e le istituzioni europee nella ricerca di una via diversa per gestire il fenomeno migratorio. Ma fu un moto dettato dall’emozione, non da ideali o principi. Nemmeno ci si pose la domanda perché una famiglia fuggita dalla guerra avesse seguito strade clandestine, avendo invece il diritto di chiedere asilo (il sogno dei Kurdi era di raggiungere i parenti in Canada). Ma non ci sono corridoi umanitari per chi scappa dai conflitti né tantomeno per lavoro. E così ci si affida alle vie irregolari e pericolose.

Oggi nel Mediterraneo centrale l’Italia ha operative per il salvataggio di naufraghi solo motovedette della Guardia costiera, raramente autorizzate a uscire dalle 12 miglia delle acque territoriali, un elicottero e una nave di una ong, la «Open Arms», appunto. Altre sette sono state fermate dopo gli sbarchi per rilievi. Del resto i nuovi decreti che hanno sostituito quelli di Salvini mitigano solo l’atteggiamento sospettoso verso le organizzazioni non governative. Eppure l’ininterrotta sequenza di azioni giudiziarie contro le navi umanitarie finora si è conclusa senza una sola richiesta di rinvio a giudizio.

Invece il Tribunale di Messina ha condannato tre libici a 20 anni di reclusione per crimini commessi contro migranti nel campo di prigionia di Zawiyah, gestito per conto del governo legittimo e dimissionario di Tripoli – nostro alleato, al quale abbiamo versato 250 milioni in tre anni per il contrasto dell’immigrazione irregolare – dalla milizia Al Nasr insieme ai fratelli Kachlav, capiclan che controllano il contrabbando di petrolio, il traffico di esseri umani, di armi e recentemente anche di droga, in accordo con le mafie italiane. Il nostro governo dovrebbe approfondire questa vicenda, più pericolosa delle navi delle ong, ma anche l’opposizione, impegnata a criminalizzare gli immigrati irregolari.

Sono le schizofrenie della politica estera, come, cambiando quadrante, avviene in Yemen: 10 milioni di bambini rischiano la morte per malnutrizione nel conflitto in corso da sei anni. Versiamo milioni di euro alle agenzie dell’Onu che si prendono cura di questo dramma, ma al tempo stesso vendiamo armi e bombe all’Arabia Saudita, che le cede a una delle parti in guerra in Yemen. Risolviamo almeno queste contraddizioni, per i tanti, troppi Joseph vittime di ingiustizie e violenze. Joseph, nome di origine aramaico-ebraica che significa «Dio accresca il neonato agli altri figli».

© RIPRODUZIONE RISERVATA