Bilancio, in bilico
l’asse Lega-grillini

Le promesse elettorali sono state mantenute. Il consenso si è allargato. Per finire, «massima armonia» (parola del sottosegretario leghista Claudio Durigon) regna tra i due soci di governo. C’è però il retro della medaglia. L’economia è in stagnazione. Il deficit e il debito pubblico continuano a crescere. L’Italia (parola del presidente di Confindustria Vincenzo Boccia) è ferma. Per quanto tempo può reggere una tale dissociazione? Tradotto in soldoni: dobbiamo aspettarci un anno «bellissimo» (previsione del premier Conte) o un anno «nero» (timore nutrito dal numero uno degli industriali)? Una tale dissociazione possiamo star certi che reggerà fino al 26 maggio, giorno del voto europeo. Fino allora vige la parola d’ordine rassicurante «lavoriamo bene insieme».

Poi, il velo diplomatico cadrà. Tutto lascia intendere che comincerà allora per l’Italia la navigazione in un mare incognito. A terremotare il quadro politico nazionale non sarà tanto il riequilibrio nei vertici di Bruxelles a vantaggio dei sovranisti che un po’ tutti si aspettano dal voto di maggio. Molto più peserà la fine per esaurimento dell’alleanza fredda stipulata da Lega e M5S. Adempiuti gli impegni portanti del contratto di governo (reddito di cittadinanza e quota cento) i soci di maggioranza mostrano già ora una gran fatica a trovare una convergenza sui grandi problemi del Paese.

Anzi, da qualche tempo, complice la campagna elettorale, si mostrano impegnati a marcare le differenze (ultima in ordine di tempo quella esplosa sul tema della famiglia posto al centro dei lavori dell’ormai famoso congresso di Verona): e questo anche a costo di contraddire precedenti prese di posizione. È illuminante al proposito la reazione mostrata dai due partiti di governo di fronte all’allarme lanciato dagli industriali sul pericolo recessione. Nell’occasione abbiamo assistito addirittura allo scambio delle parti tra Salvini e Di Maio. Il primo ha accusato gli imprenditori, che pure costituiscono il proprio elettorato di riferimento, di comportarsi da «gufi», il secondo ha invece offerto loro aperta solidarietà. «Noi stiamo con loro» – ha dichiarato il vice premier grillino.

Tutto ciò non dovrebbe comunque sorprendere. Era già insito nella decisione originaria di sottoscrivere, non un’alleanza, ma semplicemente «un contratto di governo». Con quell’atto notarile i due contraenti certificavano che non avevano una visione condivisa sul futuro dell’Italia. Debitamente scansato sino a oggi, talora accuratamente schermato con il lancio di allarmi civetta (su tutti «l’emergenza immigrati»), è il tema economico che si sta imponendo e non sarà più eludibile al momento della stesura del Documento programmatico di bilancio. Sarà quello il momento in cui il governo non potrà più sfuggire all’impegno di far quadrare i conti pubblici mettendo mano a una manovra necessariamente «lacrime e sangue». Una decisione, questa, che nessuna forza politica si vorrà intestare perché prenota una sicura bocciatura dell’elettorato. Di fronte a questo terribile dilemma, quale sarà il comportamento della maggioranza giallo-verde? Si stringerà a coorte o i due soci giocheranno allo scaricabarile? O ancora, Lega e Cinquestelle preferiranno farsi da parte e passare la patata bollente nelle mani di un’altra compagine di governo? Ma quale? È assai probabile che cominci allora una navigazione in un mare incognito che richiederà alle forze politiche incaricate della guida del Paese nervi saldi e grande senso di responsabilità se non vorranno condurre la nave a sbattere contro degli scogli.

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