Biden-Trump, inedita alleanza protezionista

Il commento. Tra le conseguenze negative di un’epoca caratterizzata da un’estrema polarizzazione politica delle nostre democrazie, c’è la difficoltà crescente che incontriamo nel trattare avvenimenti che non rientrano immediatamente nelle categorie stabilite dalle contrapposte «tifoserie». È il caso, per esempio, del nuovo «consensus protezionista» negli Stati Uniti che pure tocca da vicino le nostre vite, come imprenditori o consumatori, e che dunque meriterebbe analisi ben ponderate.

Un certo «protezionismo» americano, secondo alcuni osservatori, sarebbe stato soltanto una «parentesi» della storia recente a stelle e strisce, un’idea balzana – o lungimirante, a seconda dei gusti - partorita dall’Amministrazione di Donald Trump. Una simile lettura potrà forse soddisfare i nemici – o gli amici - ideologici dell’ex presidente, ma certo non aiuta a comprendere un fenomeno che continua a influenzare le nostre vite a ormai due anni dall’uscita di Trump dalla Casa Bianca.

Per capire perché, partiamo da un recente fatto di cronaca internazionale. Lo scorso 10 dicembre, l’Organizzazione mondiale del Commercio (Wto) ha bocciato i dazi su alluminio e acciaio stranieri imposti da Trump nel 2018. L’allora presidente americano, secondo il Wto, non poteva invocare «ragioni di sicurezza nazionale» per introdurre tariffe aggiuntive. Il caso era stato sollevato da Cina, Norvegia, Svizzera e Turchia che adesso – vedendo riconosciute le loro ragioni - avrebbero dunque la possibilità di stabilire tariffe ritorsive. Alla Casa Bianca oggi siede il democratico Joe Biden, acerrimo avversario politico del repubblicano Trump che introdusse le restrizioni all’import, eppure Washington ha fatto sapere di «respingere con forza» il pronunciamento del Wto. I dazi incriminati rimarranno dunque al loro posto. «L’Amministrazione Biden – ha spiegato Adam Hodge, l’attuale assistente del rappresentante per il Commercio Usa – è impegnata a preservare la sicurezza nazionale americana garantendo la produzione a lungo termine di acciaio e alluminio da parte delle nostre industrie».

L’inedita sintonia tra Biden e Trump può stupire soltanto chi fosse rimasto a una visione un po’ datata o stereotipata del rapporto tra Stati Uniti e liberoscambismo. Certo Washington praticò l’abbassamento delle tariffe doganali nel Secondo Dopoguerra, riducendole in media dal 33% al 13%, ma nei primi anni Cinquanta le importazioni nel Paese valevano solo il 3% del suo Pil, mentre le multinazionali a stelle e strisce erano desiderose di conquistare nuovi mercati. Nel 1971 la situazione era già cambiata di molto, con il primo anno in deficit commerciale registrato negli Stati Uniti. Negli anni 80, per esempio, di fronte alle difficoltà del comparto automotive, il presidente Ronald Reagan convinse il Giappone a limitare «spontaneamente» l’export di automobili, spingendo le case di Tokyo a produrre direttamente nel Sud degli States.

Parliamo di pratiche che ricordano da vicino le più recenti evoluzioni della politica industriale e commerciale degli Stati Uniti. Si prenda per esempio il Chips Act, con gli annessi 280 miliardi di dollari per sostenere la produzione di microchip «made in USA», a partire dai più avanzati che negli ultimi decenni erano stati delocalizzati presso aziende straniere, come la taiwanese Tsmc o la coreana Samsung. Oppure si consideri l’Inflation Reduction Act che entrerà in vigore a gennaio, con lo stanziamento di 370 miliardi di dollari per sostenere la transizione ecologica della manifattura statunitense, a suon di aiuti per chi produce sul suolo americano.

Tutte misure legittime ma che potrebbero avere un impatto negativo per la nostra industria. Il Vecchio Continente, infatti, è già stretto tra costi energetici alle stelle e angusti vincoli di bilancio, dunque rischia di apparire sempre meno accogliente per futuri investimenti privati rispetto agli Stati Uniti. Il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, ha comprensibilmente sollevato il problema con Washington, e la Commissione di Bruxelles – con un certo ritardo – sembra aver preso nota. Un confronto franco tra alleati sul punto sarebbe auspicabile. Una lettura della storia economica più realistica e meno naïve ci sarebbe d’aiuto.

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