Biden e Putin, quei segnali che portano al baratro

MONDO. Un altro passo e questa guerra già assurda e tremenda può precipitare nella tragedia più totale.

E così, a furia di spostare in avanti le cosiddette «linee rosse», continuando a ripeterci che non sarebbe successo nulla, siamo arrivati sul ciglio del burrone. Con un piede già fuori dalla Casa Bianca, il presidente Joe Biden ha autorizzato, di fila, prima l’impiego di contractors americani in Ucraina, poi l’uso dei missili a lunga gittata per colpire la Russia e infine, per frenare l’avanzata russa, l’impiego delle mine antiuomo, considerate fuorilegge da un trattato firmato da 164 Paesi ma non dagli Usa. Giovedì 21 novembre, purtroppo, Vladimir Putin (che invece siede saldamente al Cremlino) gli ha risposto: su una fabbrica ucraina che produce sistemi missilistici a Dnipro si è abbattuto un missile balistico intercontinentale, il nuovissimo Oreshnik, costruito nel più totale segreto. Un ordigno che può volare per 5 mila chilometri alla velocità di Mach 10. Non intercettabile e capace di portare bombe nucleari.

È chiarissimo il messaggio che Putin ha voluto recapitare con quel bombardamento. Lo stesso che ha poi esplicitato in un inatteso discorso alla nazione: i missili a lungo raggio non possono essere usati, dagli ucraini, senza la partecipazione degli specialisti dei Paesi che li hanno forniti; con i lanci di Atacms e Storm Shadow sulle regioni di Kursk e Bryansk la guerra ha assunto un carattere globale; sbaglia di grosso chi pensa che la Russia non sia disposta a reagire. E quindi, di nuovo, siamo arrivati al limite: un altro passo e questa guerra già assurda e tremenda può precipitare nella tragedia più totale.

Gli obiettivi della Casa Bianca

Nella condotta della Casa Bianca, e degli apparati che orientano le azioni del presidente Biden, si distinguono due obiettivi. Il primo è rendere il più difficile possibile il passaggio di consegne a Donald Trump e costruirgli un percorso a ostacoli che rallenti la sua presidenza, a partire proprio dal più volte ribadito proposito di trovare una soluzione negoziata alla guerra tra Russia e Ucraina. Il secondo obiettivo, per inevitabile conseguenza, è prolungare la guerra. Se questo avvenga nella convinzione che la Russia prima o poi crollerà, o piuttosto nel timore che un negoziato (che oggi difficilmente porterebbe a quella «pace giusta» invocata dagli ucraini) somiglierebbe troppo a una vittoria della Russia e a un’umiliazione della Nato, della Ue e degli Usa, è difficile stabilirlo. Resta il fatto che l’una e l’altra ipotesi prevedono un inasprimento del conflitto e un sacrificio totale per gli ucraini.

Le difficoltà di Zelensky

In questa situazione, Volodymyr Zelensky sembra di nuovo stretto, come già all’inizio della sua presidenza, tra l’incudine Biden (che era stato l’inviato speciale di Barack Obama per l’Ucraina e aspirante alla presidenza) e il martello dell’allora presidente Trump, che voleva materiale compromettente sul figlio del rivale, Hunter Biden.

Lo testimoniano le sue dichiarazioni, che vanno da una specie di nuovo realismo sulla Crimea («Non possiamo perdere decine di migliaia di soldati per recuperarla») all’intransigente ostilità verso Putin, che «va fermato a tutti i costi». Ma il campo di battaglia parla chiaro: i russi avanzano nel Donbass, pian piano recuperano la regione di Kursk e tutti gli esperti di questioni militari avvertono che, in ogni caso, i missili a lunga gittata forniti da Usa, Francia e Gran Bretagna non possono invertire l’andamento della guerra. È una conclusione amara, ma tutto lascia pensare che l’aggredita Ucraina non possa ottenere la giusta soddisfazione o l’adeguata rivincita rispetto all’aggressore Russia.

La posizione dell’Ue

E questo è un tema che coinvolge ancor più l’Europa degli Usa che attendono le molto favoleggiate ma per ora ipotetiche novità dell’amministrazione Trump.

I Paesi della Ue hanno affrontato un grande impegno e un cambio di paradigma politico ed economico enorme nella convinzione di averne in ritorno più tranquillità e benessere. Ora si rischia l’esatto contrario. Ma anche noi non siamo senza colpe: basta osservare le reazioni imbarazzate e i distinguo che hanno accolto i mandati di cattura spiccati dalla Corte penale internazionale nei confronti di Benjamin Netanyahu e l’ex ministro Yoav Gallant per le stragi ordinate a Gaza. I distinguo degli stessi politici che hanno continuato ad armare Netanyahu, e a giustificarne le azioni anche in presenza di almeno 120mila civili morti, e che ora la decisione della Corte inevitabilmente bolla con una corresponsabilità morale difficile da scuotersi di dosso.

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