Berlusconi, difficile raccogliere un’eredità
controversa

ITALIA. Su un punto anche i più accaniti detrattori in queste ore dovranno concordare: con Silvio Berlusconi se ne è andato un protagonista assoluto della storia italiana. Qualunque sia il giudizio su di lui, nessuno ha impresso così indelebilmente la propria cifra su trent’anni filati di politica.

Anzi, diciamo meglio: nessuno ha cambiato la politica italiana del Dopoguerra come ha fatto Berlusconi. Agli inizi degli anni ’90 sotto le macerie della Prima Repubblica rimasero sepolti una classe dirigente e un modo di fare politica, di condurre i partiti e le istituzioni, di raccogliere il consenso elettorale. Berlusconi, costruendo un partito in pochi mesi e vincendo fulmineamente le elezioni, fermò l’avanzata della sinistra - allora sicura vincitrice di fronte alla disfatta della Dc e dei suoi alleati - con una metodica totalmente nuova: conoscemmo con lui l’avvento del leader carismatico che guida un partito creato a sua immagine e somiglianza, importammo dall’America il marketing elettorale e la politica spettacolarizzata in televisione. E tutto questo ruotava intorno ad un potente conglomerato economico e mediatico che veniva messo al servizio del suo proprietario «sceso in campo». Mai avevamo visto tutto ciò.

Con questi ingenti mezzi Berlusconi affascinò il Paese e seppe conquistare il favore della metà di esso, perché l’altra metà invece gli dichiarò una guerra senza quartiere. Ma proprio il «sistema» che aveva consentito al Cavaliere la conquista della scena e del potere, si rovesciò presto nel tormentone del conflitto di interessi che per tre decenni - dall’avviso di garanzia a sei mesi dalla nascita del primo governo fino all’ultimo giorno di vita - ha condizionato non solo la vita e l’azione di Silvio Berlusconi ma tutto il confronto politico nazionale che ad esso è stato incatenato. A loro volta i trentasei processi intentati contro Berlusconi hanno provocato una guerra con una parte della magistratura che ha impiombato il nostro dibattito pubblico.

Tanto il suo potere economico ha aiutato il tycoon di Fininvest-Mediaset, tanto lo ha imprigionato nelle vesti di un personaggio le cui gesta hanno avuto una eco internazionale che non sempre ha fatto bene all’Italia. Però sta di fatto che, in questo quadro così profondamente contraddittorio, Berlusconi ha segnato la politica più di qualunque altro, più anche dei suoi più illustri competitori, anche di chi lo ha sconfitto. Lui sicuramente entrerà nella storia, nel bene e nel male.

È aperta naturalmente la discussione sull’efficacia delle sue politiche: furono all’altezza delle sue promesse? Riuscì con i suoi governi a dare all’Italia quella sterzata liberale e liberista che avrebbe dovuto liberarci dai teoremi della sinistra post comunista e del pansindacalismo? Molti liberali proprio su questo concentrano le loro critiche al berlusconismo come stagione politica; altri invece sostengono che tali e tante furono le resistenze - politiche, giudiziarie, giornalistiche sia interne che internazionali - che non si sarebbe potuto chiedere di più a chi pure si presentava come un coraggioso innovatore.

La domanda ora è: cosa resta del berlusconismo senza Berlusconi? Un movimento che si fonda sul carisma del leader, di norma difficilmente sopravvive alla sua scomparsa. E tuttavia la carica modernizzatrice che il berlusconismo ha rappresentato in un’Italia vittima dei suoi troppi autolesionismi, resta come una esigenza obiettiva per lo sviluppo nazionale: chi potrà raccogliere il testimone e farsene portatore?

Di protagonisti assoluti come Silvio Berlusconi ne nasce uno ogni cento anni, possiamo ben dirlo al netto di qualunque opinione positiva e negativa: il guaio è che oggi vediamo tanti comprimari. Per questo il Cavaliere mancherà anche ai suoi più tenaci avversari.

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