L'Editoriale
Venerdì 27 Dicembre 2019
Berlino in crescita
Ossigeno per l’export
All’inizio dell’anno il ministro tedesco delle Finanze sentenzia: gli anni delle vacche grasse sono finiti. La recessione è arrivata, ma solo per lui: ha perso la competizione per la segreteria della Spd. Secondo l’Ifo di Monaco di Baviera, nella seconda metà dell’anno la crescita sale allo 0,6% e il 2020 è segnato con il più: 1,1% del Pil. Per l’industria italiana è una boccata d’ossigeno. Sono i grandi gruppi a nord delle Alpi che dettano la linea e una Germania in crescita vuol nuove commesse per le nostre imprese.
L’industria italiana condivide con quella tedesca la manifattura, cioè quella parte dell’economia che si basa su prodotti finiti tradizionali. Pareva destinata al declino la vecchia produzione e invece si è scoperto che l’uomo moderno ancorché digitale non dorme sul cloud, ovvero su una nuvola, ma su un normalissimo letto. Ci vuole quindi qualcuno che lo costruisca. Perché è vero che si ordina online ma poi c’è anche la consegna della merce e quindi è di necessità servirsi di un aereo, di un drone, di un veicolo che lo consegni a domicilio.
Lo stesso dicasi per il malato di turno ovvero l’automobile. Si viaggia verso l’elettrico, ben sapendo che non sarà la soluzione, ma una fase di passaggio e tuttavia i nuovi mezzi, qualunque sia la forza propulsiva, a idrogeno oltre che a batteria, non possono rinunciare ai sedili, all’aria condizionata, alle componenti della carrozzeria, all’impianto luci... Ci vuole un’industria dell’indotto che supporti il progetto digitale, imprese che mettano a frutto la tradizione produttiva del passato e la riconvertano alle esigenze del presente. Industria 4.0 è nata per questo, applica la tecnologia ai processi produttivi, semplifica le forme di creazione di un bene cioè passa dal virtuale al reale produttivo.
Questo passaggio è stata sottovalutato nei Paesi anglosassoni i quali hanno privilegiato o la finanza come in Inghilterra, o lo sviluppo della creazione virtuale unita alla crescita degli indici azionari e borsistici come negli Stati Uniti. Le acciaierie della rust belt dell’Ohio, dell’automobile di Detroit in cambio di Apple, Microsoft, Amazon , Google e Facebook della Silicon Valley. Trump è andato alla Casa Bianca sull’onda dei delusi di chi una volta era la spina dorsale d’America.
Questo vuoto l’ha riempito la Germania e con essa l’Italia come seconda nazione manufatturiera di Europa. Perché dunque si prevede uno sviluppo per il 2020 che anche solo a giugno 2019 nessuno osava profetizzare? Nei prossimi 30 anni la popolazione mondiale crescerà da 7,7 a 9,6 miliardi di individui. Questo vuol dire in termini economici un aumento dei consumi e quindi delle merci richieste.
Saranno zone ora sottosviluppate, soprattutto in Africa, ma se la politica dell’Occidente sarà saggia verrà incentivato in loco un nuovo ceto produttivo. Un po’ quello che è successo in Cina dove negli ultimi vent’anni si è creato un ceto medio di circa 800 milioni di persone, ovvero possibili clienti per i prodotti made in Germany e made in Italy. Ma l’elemento decisivo resta la propensione alla spesa del cittadino occidentale. Il mondo sente ecologico, ma vive in modo edonistico. Greta, fenomeno mediatico di prima grandezza, concilia i due opposti. Mette a posto la coscienza sulle piazze e permette di non rinunciare alle mollezze della società opulenta. Capsule del caffè sono in boom unitamente ai voli low cost e agli acquisti on line. Nestlé, Procter & Gamble, avanzano negli utili, Pepsi Cola aumenta del 30% in borsa e Walt Disney del 40%. Tutto fa intendere che la propensione al consumo non calerà. Globalizzazione e digitalizzazione hanno portato ad aumentare di quattro volte la produttività rispetto alla normale catena di montaggio. È il nostro valore aggiunto se restiamo parte integrante d’Europa.
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