Bergamo e Brescia
Una sfida capitale

Una scelta fatta nell’emergenza, sull’onda dell’emozione e della vicinanza ai territori colpiti più di chiunque dalla prima - drammatica - ondata del Covid. A Bergamo e Brescia il compito di trasformarla in una sfida capitale, un’occasione per cambiare le cose. Una partita di «futuro e rilancio» come ha detto il sindaco Giorgio Gori alla presentazione del dossier della Capitale italiana della cultura 2023. Attenzione, capitale al singolare, e fa la differenza: è un percorso che si fa insieme, non la somma di due cammini distinti.

Bergamo ha già alle spalle un fallito tentativo di candidatura a capitale europea della cultura del 2019, assegnata poi a Matera. In quell’occasione non era riuscita nemmeno a entrare nella «short list» dei finalisti: la corsa si era interrotta praticamente subito anche (o soprattutto) per un dossier che probabilmente non aveva compreso il senso della sfida, proponendo cioè una visione culturale un po’ da guida turistica. Una sorta di elenco dei punti di forza (parecchi, per carità) del territorio non calati però in una visione complessiva e di prospettiva.

In questo senso quello presentato (magari non in modo agilissimo...) ieri al Teatro Sociale pare invece avere centrato la questione, prendendo atto della realtà delle cose e allargando quindi il concetto di cultura «non solo alle produzioni letterarie e artistiche, ma anche a scienza, tecnica, formazione, educazione, ricerca, sapere informale e capacità imprenditoriale, nei loro processi e connessioni». Quante volte si è detto che Bergamo e Brescia hanno la «cultura del lavoro?». Ecco, una definizione del genere spiega molto di quello che siamo e, allo stesso tempo, la complessità di una sfida dove la cultura diventa fondamentale per capire prima e vincere poi la sfida della complessità. Ovvero il futuro.

La pandemia ci ha resi tutti più fragili, calato una cappa d’incertezza anche su territori competitivi come i nostri, quelli dove tutto si misurava in Pil, import ed export. Feriti più di tutti ma ora chiamati a guidare la ripresa del Paese, in quella Lombardia che, come osservato da Emilio Del Bono, sindaco di Brescia, «non è solo Milano». Ma non siamo davanti alla riproposizione sterile di quell’ancestrale dibattito sullo strabismo di una Bergamo indecisa se guardare ad est oppure ad ovest e che in questi anni ha viaggiato a bordo di banche, aeroporti e multiutility: semmai la raggiunta - e reciproca - consapevolezza di due realtà «simili ma non identiche», sottolinea Del Bono, «educate e che hanno il senso della direzione». Comunità «che hanno radici profonde e la testa nel mondo» e intendono la cultura come «un catalizzatore di innovazioni» gli fa eco Gori.

Si parte da qui, da un dossier voluminoso e un ventaglio di azioni decisamente ampio, (pure troppo vien da temere) e sfidante. Sullo sfondo, oltre la cura (in ogni senso), la natura, i tesori nascosti e l’innovazione, i quattro punti cardinali della candidatura, c’è una visione comune che rompe quell’atavico approccio sintetizzabile con la discutibile frase «con la cultura non si mangia». Per tutto il 2023 Bergamo e Brescia proveranno a dimostrare che l’attrattività dei territori può favorire una crescita economica e civile, tessendo rapporti, percorsi e soprattutto visioni. Su entrambi i fronti scendono in campo le eccellenze ma anche quel variegato mondo di proposte culturali e artistiche tanto simile a quel sistema di piccole e medie imprese che ha fatto la fortuna delle due province. Insieme, perché come dice un proverbio africano «se vuoi andare veloce, corri da solo. Se vuoi andare lontano, vai con qualcuno».

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