Bentornati
alla vita vera

Centoquarantamila in classe, stamattina. Mascherina, entrate scaglionate, green pass per il personale scolastico, trasporti potenziati.
Sono i quattro paletti della prudenza. Lo sappiamo che potrebbero esserci cambiamenti, emergenze, interruzioni. Ma l’80% della popolazione bergamasca si è vaccinata, tutti capiscono che la logica delle varianti può essere contrastata solo sottraendo mobilità al virus. Per sottrarla, c’è la regola del tre: vaccinazione, mascherina, nessun assembramento.

Strumenti non perfetti, ma per il momento i migliori che abbiamo a disposizione e che hanno dimostrato di dare risultati positivi. Così prevale la speranza, finalmente. Da zero a 18 anni la vita riprende il suo ritmo disciplinato, indissolubilmente legato alla scuola.

La scuola è carne e sangue, impariamo attraverso gli altri, grazie agli altri, nonostante gli altri. È questo che abbiamo appreso in due anni di digiuno di relazioni, di amicizie interrotte, di amori sospesi. La didattica a distanza, anche la migliore, non può che riguardare solo alcuni aspetti, alcune facoltà. Per sua stessa natura non può inglobare tutto l’essere, non è esperienza dell’intera persona. È trapasso di nozioni, magari creativo, è strumento benedetto e indispensabile nell’emergenza. Ma è come una flebo di glucosata invece della grigliata.

Per questo, sicuramente, gli studenti in materia di Covid saranno attenti. Nessuno vuole tornare a studiare da solo, senza possibilità di sguardi d’intesa, battute sul conto del docente, sensazione di essere insieme, tutti della stessa età, su quella barchetta che si chiama classe. L’impagabile sensazione del noi-e-loro, sentirsi uniti nei sogni, nei desideri, nel linguaggio, con quella particolare sfumatura che rende unico il nostro gruppo.

Noi adulti sappiamo poco delle sofferenze interiori dei bambini e dei ragazzi. Ricordiamo a malapena le nostre, anche se poi la nostra vita ne è stata fin troppo influenzata. In questi due anni scolastici marchiati dal covid la sofferenza dei giovani, già da anni segnalata dai tecnici e cresciuta su un terreno fatto di insicurezza sociale ed economica, sfarinamento (o chiusura difensiva) della famiglia, transizione dei modelli culturali - tutto insieme - è arrivata alle stelle proprio perché, senza il quotidiano uscire per andare a scuola, l’ultimo ritmo, rassicurante nella sua prevedibilità, è saltato. È rimasta la solitudine, il corpo a corpo con se stessi in spazi ristretti, sempre alla presenza dei genitori. Molti sono saltati, ma molti si sono rafforzati. Dopo il lockdown, i bambini portati in passeggino fino a cinque anni, i ragazzini costretti a ogni sorta di corsi sportivi, hanno riscoperto la banda e la gioia di correr dietro, tutti insieme, a un pallone al parco.

La generazione Covid, etichettata almeno con un fatto importante invece che con un’umiliante lettera alfabetica, mostrerà nei prossimi anni le sue caratteristiche. Ma alcune possiamo già indovinarle: realismo (per aver provato che nulla è garantito), riscoperta della dimensione sociale e collettiva (per aver sperimentato la solitudine vera), allegria ( per aver imparato ad apprezzare la nuda vita).

Così, questi due anni di scuola a zigzag non sono stati perduti, umanamente. Anzi. Diverso il discorso degli apprendimenti, allentati per tutti, persi per i più deboli o sfortunati. Ci sarà da lavorare, insieme agli insegnanti, non per recuperare «il programma» ma perché se si è ignoranti, si è vulnerabili. Gli adulti possono fare qualcosa per bambini e ragazzi? Dentro la scuola, moltissimo. Fuori, molto. Come genitori, lasciando perdere sciocchezze, rivalità, invasioni di campo dei docenti travestite da preoccupazione per i figli.

Come anziani, non intasando gli autobus degli studenti se si può aspettare che passi l’ora di punta. Come professionisti, evitando esternazioni di ogni tipo: la libertà di parola non è libertà di dire cose stupide.

Bentornati a scuola, ragazzi: la strada è riaperta e noi cercheremo di comportarci da adulti per non richiudervela.

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