L'Editoriale
Martedì 29 Dicembre 2020
Battaglia sui servizi
segreti: un mistero
Matteo Renzi ha lanciato una nuova offensiva contro Giuseppe Conte e il governo giallo-rosso. Il leader di Italia Viva ancora una volta ha annunciato che, in assenza di accordo su alcune fondamentali questioni di governo, i rappresentanti del suo partito si dimetteranno determinando così la caduta del gabinetto: si immagina subito dopo l’approvazione definitiva della legge di Bilancio entro la fine dell’anno. Il Recovery Plan, il Mes, la delega ai servizi segreti sono al centro della nuova offensiva di Renzi per nulla soddisfatto delle rassicuranti dichiarazioni del presidente del Consiglio a «Porta a Porta»: di fronte al microfono di Bruno Vespa, Conte ha sfoderato la sua consumata arte di ridimensionare le polemiche e di ammorbidire i contrasti ma evidentemente la sua arte questa volta non è stata sufficiente. Renzi infatti non sembra voler rallentare la sua azione di logoramento: l’unico dubbio è fino a che punto si voglia spingere e quale sia la vera posta in gioco.
Secondo molti, quest’ultima sarebbe in sostanza abbastanza limitata: il rimpasto di governo, il ministero dei Trasporti ( fuori Paola De Micheli, dentro Maria Elena Boschi) e forse anche quello della Difesa (via il piddino Lorenzo Guerini, dentro lo stesso Renzi su un trampolino che lo potrebbe portare al segretariato generale della Nato). Ma non è detto che l’obiettivo del senatore sia, in fondo, relativamente limitato: nelle sue intenzioni potrebbe davvero esserci un nuovo governo con un diverso premier. Se fosse così, a nulla servirebbero i continui moniti che gli continuano a piovere sia dal Quirinale che dal Pd: se cade Conte, si va diritti alle elezioni, e il Pd si presenterebbe in una alleanza con il M5S – o ciò che ne resta – portando proprio Conte come candidato (ri)premier. Peraltro non si capisce per quale ragione Renzi dovrebbe voler andare di nuovo alle urne: all’esito del voto, Italia Viva sarebbe spazzata via. Perché perdere la comoda posizione di interdizione che in questa legislatura i numeri (e la crisi grillina) regalano al minuscolo partito renziano? No, ci deve essere un’altra spiegazione. Forse il rimpasto come abbiamo detto, o forse la delega ai servizi segreti. Ora, è noto che Conte per nessuna ragione al mondo vuol delegare il controllo dei servizi di sicurezza. Per tradizione il presidente del Consiglio, cui spetta l’alta direzione dell’intelligence, delega ad una persona di sua assoluta fiducia il day-by-day dell’attività di sicurezza: raramente i titolari di palazzo Chigi si sono tenuti in mano questo compito, peraltro assai impegnativo e per il quale occorre avere una certa preparazione di base di cui Conte sicuramente non è fornito. L’avvocato pugliese invece vuol fare diversamente e tenersi per sé tutto il potere senza delegarlo ad alcuno. È una cosa che dall’inizio ha irritato moltissimo i partiti, contrari a che il presidente del Consiglio, che ha già in mano un potere enorme sugli apparati dello Stato, diriga direttamente anche i nostri agenti segreti. Ma non c’è niente da fare: Conte non ha mai mollato. È a questo che Renzi sta puntando, a togliergli dalle mani il filo del burattinaio dell’intelligence? E per quale scopo? Quanto rientra in questa faccenda quello strano coinvolgimento dell’Italia nel Russiagate dei primi tempi dell’era Trump? Non lo sappiamo, possiamo fare solo qualche illazione non suffragata. Però su questa agitazione renziana e sulla faccenda dei servizi si intreccia una matassa di potere, di vero potere, su cui molto probabilmente non ci verrà mai detta una parola di chiara, definitiva, verità.
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