Banche più grandi, le due facce del blitz

ITALIA. Fino all’inizio degli anni Duemila le aggregazioni bancarie servivano per rafforzare il sistema finanziario, creando gruppi di dimensioni rilevanti, più efficienti e in grado di offrire un miglior servizio all’economia.

Poi sono arrivate le fusioni con finalità di salvataggio: le famose quattro Good Banks, le popolari venete, Carige eccetera. Dal 2020, con l’Ops di Intesa su Ubi, è iniziata una nuova stagione, quella delle fusioni veramente strategiche, dove una banca grande e sana compera un’altra banca, altrettanto sana ma un po’ più piccola, quotata in Borsa e con assetto proprietario molto frazionato. Così si può comperare «carta contro carta», cioè offrendo azioni dell’acquirente in cambio di azioni della target, senza far perdere capitale alla prima. L’operazione lanciata ieri da Unicredit su Banco Bpm è di questo secondo tipo e presenta molte analogie con quella già citata sull’ex Popolare di Bergamo.

Banco Bpm, pedina importante

Vista sotto questa luce, è una notizia positiva perché segnala la rinnovata capacità di iniziativa e di crescita dell’erede del Credito Italiano, con l’innesto poi di altre banche medio grandi, soprattutto ex Casse di Risparmio del Centro-Nord. L’altro lato da leggere con favore è che l’offerta è promossa da un soggetto italiano e non, ancora una volta, da un gruppo straniero. Banco Bpm, sotto la guida del suo amministratore delegato Giuseppe Castagna, ha compiuto un percorso di risanamento, prima, e di rilancio, poi, anche costituendo le cosiddette fabbriche prodotto, cioè le società satellite che predispongono i servizi specialistici erogati dalla capogruppo. È diventata una pedina importante nell’ambito del risiko bancario, con la possibilità di giocare un ruolo attivo, per esempio un’aggregazione con Mps, ma evidentemente anche di essere vista come una ghiotta preda da parte di gruppi maggiori. Un’occasione che avrebbero potuto cogliere anche i francesi di Crédit Agricole che già detengono il 9,8% del capitale.

La scalata tedesca di Commerzbank

Quali sono i lati sfavorevoli? Intanto confido che, come annunciato dal Ceo di Unicredit, l’operazione non comprometta quella, più ambiziosa e più importante, della scalata alla tedesca Commerzbank, che si scontra con la ferma contrarietà dei tedeschi, sia la politica che la finanza, ma sarebbe davvero la prima vera aggregazione internazionale dalla nascita dell’Unione Bancaria. Si può essere ragionevolmente ottimisti su questo fronte, perché se l’affare non andasse in porto, la banca milanese farebbe comunque una bella plusvalenza sulla pelle dei tedeschi. Il punto più rilevante, però, è il riflesso sull’economia reale, sulle famiglie e soprattutto sulle imprese.

La storia di Intesa - Ubi non è rassicurante da questo punto di vista: le sovrapposizioni territoriali, innestate comunque sulla tendenza al maggior utilizzo degli strumenti online, hanno portato alla chiusura di tantissimi sportelli, lasciando spesso privi di accesso diretto ai servizi intere comunità

La storia di Intesa - Ubi non è rassicurante da questo punto di vista: le sovrapposizioni territoriali, innestate comunque sulla tendenza al maggior utilizzo degli strumenti online, hanno portato alla chiusura di tantissimi sportelli, lasciando spesso privi di accesso diretto ai servizi intere comunità. E poi c’è la questione centrale della disponibilità di credito: la concentrazione fra le imprese, è una banale legge economica, accresce il potere di mercato dell’offerente. La letteratura scientifica ha dimostrato ciò che l’esperienza pratica insegna: se si amplia l’asimmetria dimensionale fra la banca e l’impresa il dialogo e la collaborazione diventano più difficili. Le grandi banche hanno generalmente meno attenzione verso le piccole e medie imprese che rischiano di incontrare maggiori difficoltà nell’accesso al credito in una fase in cui ci sono già segnali di contrazione.

Il destino di Mps

Ci si interroga poi sul destino di Mps, che sembrava dover confluire in una combinazione proprio con Banco Bpm per formare quel fatidico terzo polo bancario di cui tanto si parla ma non si capisce a cosa serva e soprattutto chi lo debba fare. Si spiega così la reazione un po’ sopra le righe della Lega che vede compromesso il disegno di un nuovo gruppo, imperniato sui due sopra citati, e sul quale forse sperava di esercitare una qualche forma di influenza. È stato perfino evocato il golden power, la facoltà del governo di bloccare acquisizioni dall’estero, o da italiani con capitale straniero, ove rappresentino una minaccia di grave pregiudizio per gli interessi pubblici. Si fa fatica a vedere un simile rischio in questa operazione. A meno di ritenere degno di tutela il desiderio di una parte politica di controllare una banca, come peraltro accadeva in un passato di cui non abbiamo nostalgia.

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