Autonomia regionale
Sanità, idee diverse

Le polemiche politiche e istituzionali stanno aumentando di intensità: probabilmente incidono il lungo stato di tensione, i rischi del futuro ma anche - lo si vede i controluce - una nuova spinta a ripensare i rapporti tra Stato e Regioni. Da quest’ultimo punto di vista è esemplare lo scontro tra il governatore della Lombardia Attilio Fontana con il Governo e la Protezione civile. Fontana parla della «inadempienza» della Protezione civile, denuncia di «aver ricevuto briciole» dallo Stato, accusa «la burocrazia di Roma» e rivendica esclusivamente all’efficienza della Regione se si è potuto tenere aperti gli ospedali: «Se avessimo aspettato loro, avremmo chiuso dopo due giorni».

Nello stesso tempo da Roma non sono certo più attutiti i toni delle risposte, a cominciare da quelle del ministro delle Regioni Boccia che anzi ricorda il largo margine di autonomia di cui le Regioni godono: «Già, ma solo nei tempi ordinari» ribatte Fontana, «negli eventi eccezionali non abbiamo né poteri né soldi». E così torna la questione della mancata chiusura in tempo utile delle zone rosse in Lombardia, la cui responsabilità si rimpalla da un sito istituzionale all’altro.

Tutto questo è la base ideale per un nuovo scontro sull’autonomia regionale: nel centrosinistra sono tanti ad alzarsi a chiedere che non ci siano «venti sanità regionali» e che lo Stato si riprenda il suo ruolo decisionale (come del resto proponeva la riforma Renzi bocciata al referendum), e si contesta proprio il modello lombardo dove, dice un ex ministro della Sanità, Rosy Bindi, «c’è troppa prevalenza del privato sul pubblico». «Non dimentichiamoci che stavamo discutendo di autonomia rafforzata del Lombardo-Veneto» ricorda ancora l’esponente del Pd che evidentemente si deve essere ormai convinta che fu un errore, con la riforma del Titolo V della Costituzione voluta da Giuliano Amato e dalla sinistra, delegare molte competenze alle realtà regionali, a cominciare proprio dalla sanità. Viceversa il centrodestra, riferimento politico delle regioni del Nord, sostiene che ad essere inefficiente sono lo Stato e anzi meglio il governo, e più precisamente Giuseppe Conte con i suoi ministri, non certo le autonomie locali di cui invece va difeso e ampliato il margine di azione e di decisione. «L’autonomia non si tocca - intima Matteo Salvini - semmai si rafforza».

Insomma, il regionalismo torna sulla scena come grande motivo di scontro politico: se da tanti anni il contenzioso Stato-Regioni ingolfa la Corte Costituzionale con le migliaia di cause per conflitto di competenza, come si poteva pensare che non scoppiasse clamorosamente la polemica proprio nel momento in cui il sistema sanitario, guidato un po’ da Roma e un po’ dai territori, viene messo così potentemente sotto stress?

Allargando lo sguardo, nervosismi e scontri polemici fanno inoltre capire che il clima di «solidarietà nazionale» tra maggioranza e opposizione intorno all’emergenza da pandemia finirà presto, posto che sia mai stato qualcosa di più di una fredda rappresentazione a beneficio di telecamera. Più si avvicina il «dopo-pandemia», con tutte le conseguenze economiche e sociali che ci saranno, più la politica tornerà a dividersi. È anche per questo che difficilmente si potrà concretizzare quel governo «di tutti» intorno a Mario Draghi. Più si alza la polemica, meno possibilità ha una simile prospettiva di coinvolgimento dei partiti e dell’ex presidente della Bce. Senza però dimenticare che l’attuale governo, «costretto» al suo posto dalle circostanze, soffre di una intrinseca debolezza, aggravata dallo stato di confusione regnante nel partito di maggioranza relativa, il M5S, rimasto senza un capo, una leadership, una linea di comportamento.

© RIPRODUZIONE RISERVATA