L'Editoriale
Sabato 16 Novembre 2024
Autonomia e Consulta, chi è più scontento
ITALIA. Adesso si tratta di valutare le conseguenze della sentenza con cui la Corte Costituzionale ha giudicato incostituzionali o inapplicabili alcune parti della riforma dell’Autonomia differenziata.
Alcune parti centrali ed essenziali, ma non l’intera legge che la Corte rimette al giudizio del Parlamento, cui si restituisce centralità, perché la modifichi e la adegui. Le reazioni politiche, dicevamo. Ci sono quelle di facciata e quelle di sostanza. Bisogna saper distinguere. L’Autonomia era ed è la bandiera della Lega (ognuno nel centrodestra si era preso un vessillo da sventolare: Meloni il premierato, Tajani la separazione delle carriere, e Salvini le Regioni). La Lega ieri ha ignorato quanti dicono che, nella sostanza, la Corte ha fatto a pezzi la riforma pur evitando di affondarla in un colpo solo, e quindi a via Bellerio fanno buon viso a cattivo gioco: «Abbiamo superato il test di costituzionalità», quindi: «Un’ottima notizia». Sta di fatto che per il momento la riforma si ferma quando già le Regioni come il Veneto e la Lombardia stavano trattando il trasferimento dei poteri esclusi dal conteggio dei Livelli essenziali di prestazione, come per esempio la Protezione Civile. La Corte lo ha detto: blocchi interi di funzioni dello Stato non possono essere trasferiti così, bisogna fare trasferimenti «mirati».
La posizione della Meloni
Giorgia Meloni, in nome di quella tripartizione delle riforme cui accennavamo più sopra, difficilmente piangerà lacrime per la bordata della Consulta. Dal suo punto di vista i patti sono stati rispettati ma i conseguenti prezzi da pagare possono essere rinviati. Come è noto l’idea di devolvere tanti poteri centrali alle Regioni piace poco, per storia, tradizione, cultura, alla destra di Fratelli d’Italia. Inoltre i meloniani raccolgono tanti voti a Sud, e a Sud la legge Calderoli piace a pochissimi, e sono tanti i voti che si rischia di perdere mentre a Nord la Lega poteva riprendersi tanti simpatizzanti andati in libera uscita in questi anni di emorragia elettorale. Stesso discorso si fa per Forza Italia i cui governatori del Sud non nascondono la soddisfazione per il giudizio della Corte: «Avevamo chiesto una moratoria alla politica, ce l’ha data la Consulta», dice il presidente della Calabria Occhiuto. Anche Forza Italia raccoglie parecchi voti meridionali, e non era nei suoi interessi spingere su un regionalismo «nordista».
Il referendum mancato
Ma paradossalmente ad essere più scontenti sono quelli dell’opposizione che non solo avevano fatto presentare a quattro Regioni il ricorso alla Corte Costituzionale, ma avevano anche raccolto tante firme per un referendum che poteva trasformarsi in una grossa occasione di rivincita. Adesso quel referendum è quasi certo che non si terrà. Se la legge in vigore deve essere riscritta in buona parte della normativa, che senso ha fare un referendum su un testo già bocciato? Se il Parlamento si sbriga a «porre rimedio» come dicono i leghisti ai rilievi dei giudici, e quindi nasce una «nuova» legge dell’Autonomia differenziata, è fatale che si debba pensare ad un nuovo referendum e quindi ricominciare a raccogliere le firme per nuovi quesiti. Esempio: la sentenza dell’altroieri rimanda al Parlamento e non al governo la definizione dei Lep, e proprio ai Lep era dedicato uno dei due quesiti referendari. L’altro quesito chiedeva di abrogare tutta la riforma, ma la Corte ha stabilito che «non è fondata la questione della costituzionalità dell’intera legge»: come minimo, il quesito così si svuoterebbe.
Ora dunque si aspetta la decisione della Corte di Cassazione che dovrebbe arrivare il 12 dicembre. L’attesa sarà nervosa perché proprio con il referendum Pd, M5S e Avs speravano di dare una poderosa spallata al governo. Ecco un buon motivo perché Giorgia Meloni in cuor suo non sia proprio di cattivo umore.
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