Attentato
alla Dakar
i Sauditi
ora sviano

L’Arabia Saudita, attraverso fondazioni e finanziamenti, è stata l’esportatrice dell’ideologia islamista alla base dello jihadismo, nelle due forme del wahabismo e del salafismo. Erano sauditi 15 dei 19 attentatori dell’11 Settembre 2001 sul suolo americano. Sono figlie di quell’ideologia Al Qaeda e lo Stato islamico. Il regime di Riad adesso si professa in prima linea nella lotta all’estremismo mortifero ma vive una nemesi: la serpe coltivata ora colpisce sul proprio territorio, anche a cadenza prolungata perché il sistema dei controlli è (o almeno appare) rigidissimo.

Nel novembre 2020 il console italiano a Gedda, Stefano Stucci, fu ferito da una granata lanciata da un attentatore dello Stato islamico durante una cerimonia ufficiale in un cimitero. All’inizio sembrava che l’ordigno non avesse avuto conseguenze e anche il nostro ministero degli Esteri sposò questa versione essendo i sauditi nostri alleati, come lo sono degli Usa, ma il diplomatico subì conseguenze fisiche gravi dalle quale poi per fortuna si è ripreso. L’attacco rivendicato dal gruppo terrorista avrebbe potuto uccidere i dignitari presenti. I sauditi del resto tendono a coprire le informazioni sugli attentati dello Stato islamico sul proprio territorio, per dare la percezione appunto di avere tutto sotto controllo.

È accaduto anche nei giorni scorsi riguardo ad un altro attacco che ha trovato poco risalto sui media italiani. Eppure ha colpito la famosa Dakar, la gara di motori nel deserto. Gli organizzatori hanno spostato proprio in Arabia Saudita il celebre rally Parigi-Dakar, su una rotta che non attraversa più il nord Africa, per scongiurare rischi sulla sicurezza. Ma non è bastato. Martedì scorso, la Procura nazionale antiterrorismo francese ha aperto un’inchiesta su quanto accaduto il 30 dicembre, quando un’auto della scuderia Sodicars è esplosa 500 metri dopo aver lasciato l’albergo nel quale alloggiava l’equipaggio. Era diretta allo stadio in cui hanno luogo le verifiche dei veicoli che partecipano al rally. Thierry Richard, 57 anni, che corre proprio con la scuderia Sodicars, si trovava a bordo del mezzo colpito ed ha evocato «scene di guerra». Sull’auto andata in fiamme dopo l’esplosione c’erano sei persone, tra cui il pilota, Philippe Boutron, 61 anni, gravemente ferito. Per Pascale Boniface, capo dell’Istituto francese per gli affari internazionali e strategici (Iris) e specialista in geopolitica dello sport, quanto accaduto è «un duro colpo per gli organizzatori e per l’Arabia Saudita». Il ministro degli Esteri francese, Jean-Yves Le Drian, ha posto la questione di uno stop all’edizione 2022 della corsa. Ma per il direttore della Dakar, David Castera, «non ci sono elementi» per giustificare l’annullamento. I sauditi parlano di «attacco criminale» attribuendolo alla malavita, ma non ha senso per dei criminali comuni colpire una gara che attraversa il deserto. Lo Stato islamico inoltre è specialista nel piazzare trappole esplosive sulle strade, in questo caso una mina, ed ha alzato il tiro verso Riad dopo alcune iniziative, come il programma di riforme Vision 2030 che apre il lavoro alle donne e la corsa ai turisti. Quanto basta per accusare il regime di corruzione morale.

Anche le grandi manifestazioni sportive sono un termometro dello stato di salute dei Paesi dove si svolgono. Il Qatar dal 20 novembre prossimo ospiterà i Mondiali di calcio. I grandi media hanno raccontato le partite delle Nazionali per le qualificazioni ma non un aspetto tragico: oltre 6.500 lavoratori migranti provenienti da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka sono morti (12 a settimana) da quando lo Stato mediorientale, che ha una popolazione solo doppia di quella di Milano, ha ottenuto il diritto di ospitare la Coppa 10 anni fa. Lo rivela il «Guardian» citando fonti governative. Oltre a sette nuovi stadi, sono stati completati o sono in corso dozzine di grandi cantieri, per un nuovo aeroporto, per strade, sistemi di trasporto pubblico, hotel e una nuova città che ospiterà la finale dei Mondiali. A un prezzo umano altissimo, che nessuno osa contestare all’emirato.

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