L'Editoriale
Mercoledì 08 Luglio 2020
Andamento lento
L’Europa ci guarda
Una volta tanto Giuseppe Conte è stato sfortunato: ha presentato il suo provvedimento Semplificazioni «salvo intese» proprio nel giorno in cui ben tre organismi di indiscutibile rilievo come la Banca d’Italia, l’Ocse e la Commissione Ue facevano sapere che l’Italia nel post Covid sarà il Paese che andrà peggio di tutti gli altri in Europa tanto da essere in coda alla lista dei 27 Paesi. A fronte di questa prospettiva, il governo si è presentato con un testo delle Semplificazioni «salvo intese». Quella che doveva essere la «madre di tutte le riforme», il «volano del rilancio» e della «ripresa», un fatto «epocale e clamoroso», insomma una vera e propria «rivoluzione» che avrebbe cambiato «il volto dell’Italia», in realtà è – dopo infinite trattative durate due mesi tra gli alleati di governo – ancora una scatola semi vuota con fuori una etichetta: «Decreto Semplificazioni Salvo Intese».
Dentro c’è molto poco di definitivo sul meccanismo che dovrebbe sul serio sbloccare un Paese che si è avviluppato da solo, per sua esclusiva responsabilità, nella matassa delle leggi, leggi, codici, cavilli, regolamenti, controlli pre, post e durante, autorità di ogni livello grado e competenza tra loro largamente coincidenti per cui ogni atto crea un conflitto di attribuzione e competenza da dirimere in sede giudiziaria che naturalmente a sua volta cammina con la brillantezza della lumaca. Tutto questo dovrebbe essere spazzato via in un sol colpo sulla base di uno slogan che almeno come tale funziona benissimo: «Modello Genova». Tutto, come a Genova, dovrebbe essere realizzato in quattro e quattr’otto e risultare bello, efficiente, moderno, creatore di valore e di lavoro. E invece non ci siamo ancora. Siamo al «salvo intese» e nessuno sa fino a quando. Alla domanda: «Presidente, quale sarà l’impatto del provvedimento sull’economia reale?», Conte si è ritratto con eleganza: «Non mi faccia fare una valutazione tecnica, di questo genere, vedremo». Vedremo, appunto.
Il punto è che il governo non è (ancora) riuscito a fare una scelta tra quanti volevano una deregulation quasi violenta (i renziani) e quanti (il Pd), prevedendo un assalto di cavallette clientelari e mafiose agli appalti pubblici, mollavano pochissimo sul tema dei controlli e del codice degli appalti firmato a suo tempo da Graziano Delrio. In mezzo i grillini che, per quanto ostili per natura alle cosiddette «Grandi Opere», invocavano «rapidità» e «controlli» insieme, cioè la quadratura del cerchio.
Questo non vuol dire che nel testo presentato in via provvisoria siano del tutto assenti degli accordi, per esempio sulle gare sotto i cinque milioni di euro che potrebbero procedere con maggiore velocità, almeno nei tempi di affidamento. Ma sulle deroghe al codice degli appalti, sul potere dei commissari, sull’elenco definitivo dei cantieri da sbloccare (la cui lista non è presente nel decreto) bisogna ancora lavorare per trovare «le intese». Oltretutto il sistema che sta emergendo – centralizzazione delle decisioni a Palazzo Chigi, parere di due ministeri, passaggio parlamentare nelle commissioni competenti – da taluni viene ritenuto già troppo complicato e lento mentre secondo altri sarebbe poco partecipato e anzi fin troppo nelle mani della presidenza del Consiglio (con annesso sospetto di manie di grandezza di Conte).
Se si mette insieme l’avvio a metà (per il momento: lo ripetiamo ancora una volta) del provvedimento «Semplificazioni» con il continuo rinvio dei dossier aperti da tempo immemorabile (Alitalia, Ilva, Autostrade, decreti sicurezza, senza contare il determinante Mes), l’impressione è di un governo il cui passo diventa ogni giorno più lento e incerto mentre tutto, intorno, chiede decisioni coraggiose, nette e rapide.
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