L'Editoriale
Martedì 16 Maggio 2023
Amministrative: centrodestra soddisfatto, ma le insidie non mancano
IL COMMENTO. Il primo atto del turno elettorale nei 595 Comuni chiamati al voto è decisamente a favore del centrodestra. La coalizione di governo conferma Imperia (con l’ex ministro berlusconiano Claudio Scajola), espugna Latina già amministrata da un sindaco civico ma vicino alla sinistra, prevale largamente a Treviso e Sondrio e di misura a Pisa. Il centrosinistra mantiene Brescia e vince a Teramo, per il resto si affida ai ballottaggi: Ancona (dove governava da sempre), Vicenza, Brindisi, Massa e Siena (altra due ex roccaforti «rosse»).
Terni, poi, città che fu un bastione del Pci con i suoi mitici operai delle Acciaierie, dovrà decidere tra quindici giorni tra un candidato di centrodestra e uno di destra-destra. Tuttavia Elly Schlein confida molto nelle gare supplementari per una ragione semplice: il centrodestra con i dati che stiamo contando oggi ha fatto il pieno delle sue alleanze e avrebbe più difficoltà ad espandersi mentre il centrosinistra può sempre sperare di raccogliere il consenso sui suoi candidati di quel mondo grillino che ormai è quasi sparito dalle competizioni ma potrebbe almeno tornare alle urne.
È un calcolo, o forse meglio una speranza, e deve essere verificato nei fatti: lo sapremo tra due settimane. Per il momento possiamo solo constatare che l’astensionismo resta altissimo: è andato a votare meno del 60 per cento degli aventi diritto che, nelle competizioni locali, dove tutti si conoscono e le discussioni amministrative sono spesso accese, è un dato davvero deludente.
È peraltro da prevedere – perché lo insegna l’esperienza – che al ballottaggio le percentuali saranno largamente al di sotto sottraendo ai futuri sindaci il largo consenso di cui avrebbero bisogno per guidare le loro città tra i mille problemi in cui si dibattono. Così stando le cose non sorprende che il centrodestra rilasci dichiarazioni di ampia soddisfazione e legga il voto di oggi come un test di consenso al governo Meloni proprio nel semestre di «luna di miele» che caratterizza la vita di ogni governo. Ciò non toglie che i problemi che Palazzo Chigi sta affrontando siano davvero molto rischiosi per la sua base elettorale. Alla quale è stato raccontato per anni, ad esempio, che l’Italia mai e poi mai avrebbe sottoscritto il meccanismo salva-Stati (oggi si chiama Mes) perché ci avrebbe ridotti come la Grecia, mentre è ormai chiaro, al di là delle dichiarazioni ufficiali, che se non usciremo in fretta dalla scomodissima posizione di unico Paese dell’Unione europea che ancora non ha messo la propria firma sotto quel documento, potremmo presto pagarne le conseguenze sul piano dei fondi del Pnrr già in forse a causa dei nostri ritardi e dalla (da noi dichiarata) incapacità di spendere tutto ciò che ci è stato assegnato come prestito o come sostegno a fondo perduto.
Questa è soltanto una delle grane possibili. Ce ne sono cento altre, naturalmente. Una delle quali è sicuramente la gestione della tv di Stato dopo l’uscita di Fabio Fazio e del suo gruppo che prelude alla chiusura della trasmissione della domenica sera, finora campione di ascolti e di incassi pubblicitari.
L’opposizione del Pd (meno quella del M5S, in posizione più trattativista) ha gridato allo scandalo per l’«occupazione» dell’emittente di viale Mazzini, la cui nuove gestione di vertice tuttavia ha provveduto alla conferma per l’autunno-inverno di programmi sicuramente urticanti per la destra come Report, Cartabianca, In mezz’ora, la cui persistenza nei palinsesti è, nelle intenzioni dei nuovi dirigenti, dimostrazione di plu
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