L'Editoriale
Domenica 18 Luglio 2021
Ambiente
È l’ora di agire
Da un disastro ambientale all’altro, mentre le opinioni pubbliche internazionali fanno finta di niente, a meno che non si registri una qualche emergenza nel proprio «cortile di casa». I politici nazionali, invece, si sfilano da certi discorsi, perché impegni presi per i prossimi 30 anni non hanno un ritorno elettorale. Ma c’è un modo per cambiare una dinamica così negativa? L’«homo sapiens» pare proprio aver messo la testa sotto alla sabbia, pur di non ammettere la gravità della crisi climatica. E come dimostrano le tragedie in Germania ed in Belgio, nessuno è più al sicuro. La lista delle sciagure in giro per il mondo è diventata interminabile nell’arco di pochi decenni, dopo che anche cinesi e indiani hanno incominciato a bruciare carbone e petrolio in enormi quantità, come gli occidentali fanno da oltre un secolo.
Senza volerli elencare tutti, anche perché alcuni disastri – di uguale gravità – si potrebbero dimenticare, basta ricordare gli incendi boschivi in Australia (vi ricordate i koala in fuga?) e le fiamme inarrestabili in Amazzonia e in Siberia. Nell’estate 2019 dallo spazio si vedeva una nuvola di fumo che si estendeva dal bacino del Volga fino all’Alaska senza tralasciare alcune zone artiche del Polo fino a Pechino. E che dire delle inondazioni in ogni angolo del globo, in ultimo in Giappone? La siccità in Africa e l’innalzamento delle acque nel Pacifico?
La prima conseguenza di questa follia è che in un breve lasso di tempo i ghiacciai alpini si sono ridotti quasi della metà, il passaggio del nord-est sotto al Polo Nord è libero d’estate e nell’Artico si toccano oggi temperature da isole Baleari.
Il dramma è che siamo vicini al punto di non ritorno, ossia le conseguenze di questi cambiamenti saranno presto permanenti. In Siberia, ad esempio, il permafrost si sta sciogliendo, rilasciando nell’atmosfera anidride carbonica. Se il riscaldamento dovesse proseguire con questi ritmi, nel giro di pochi anni, saremmo davanti ad una bomba ecologica dagli esiti catastrofici. Sarebbe il trionfo dei gas serra!
Stesso discorso per la Groenlandia che ha appena deciso di abbandonare le esplorazioni petrolifere per non compromettere ulteriormente l’ambiente, rinunciando, secondo gli americani, ad un tesoro incalcolabile.
L’Europa ha approvato il suo «Green Deal» per raggiungere la neutralità delle emissioni dei gas serra nel 2050; la Cina ha posto lo stesso limite nel 2060. Per fortuna gli Usa, che stanno negoziando coi russi un sistema comune di osservazione coi satelliti, sono tornati all’interno dell’accordo di Parigi del 2015, vere fondamenta del futuro climatico.
Il problema è che quell’accordo non basta più. L’aggravamento della crisi è sotto gli occhi di tutti. Ma non solo. Sei anni fa in Francia 195 Paesi si accordarono per il contenimento dell’aumento della temperatura entro i 2 gradi per fine secolo. La questione è che, secondo i calcoli degli esperti, con gli obblighi presi finora non si arriva che ai più 3 gradi.
Ma l’Italia, così fragile per il dissesto ambientale, può fare qualcosa? La risposta è sì. A parte il fatto che la prossima settimana a Napoli si incontreranno i ministri dell’Ambiente del G20, Roma è anche copresidente del Cop26, la Conferenza Onu sul clima, che, in autunno, a Glasgow terrà una riunione cruciale.
In queste due occasioni le nostre capacità diplomatiche saranno centrali per far passare una linea di rigore (purtroppo costosa), unica via percorribile per mettere il Belpaese al sicuro nel prossimo futuro. Come per il Covid ormai le soluzioni sono solo globali.
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