Amazon, diritti
e nuovo lavoro

Per la prima volta nella storia di Amazon, il gruppo multinazionale di logistica leader del mondo, i dipendenti di tutta la filiera, dai magazzinieri ai cosiddetti «driver» (i fattorini) si sono fermati 24 ore di fila. Hanno incrociato le braccia davanti ai cancelli dello stabilimento, chiedendo solidarietà ai consumatori. Nell’era digitale ecco uno sciopero di stampo novecentesco, a dimostrazione che certe strutture e certe rivendicazioni, a cominciare dai diritti salariali, sindacali e di tutela, non muoiono mai. I dipendenti chiedono contratti stabili, stipendi migliori (compresa un’indennità Covid) e condizioni di lavoro più adeguate. La prima considerazione è che si tratta di un’agitazione concordata con Cgil, Cisl e Uil e questo è un segnale che il sindacato - per troppo tempo accusato di proteggere solo gli interessi di pensionati e metalmeccanici e poco sensibile alle nuove realtà – si interessa a queste categorie di lavoratori, ascoltandone le prerogative nell’ambito di un contratto complesso come è quello della logistica, trasporto merci e spedizione.

Il rischio di scivolare nei nuovi schiavi dell’era moderna, come dimostra il film di Ken Lodge «Sorry we missed you» esiste, certi algoritmi regolatori possono tradursi in condizioni di lavoro inacettabili, ma non bisogna gettare il bambino con l’acqua sporca. Le aziende di logistica e in particolare le Internet company sono state un bene prezioso in tempi di pandemia. Hanno permesso di superare molti ostacoli, di vivere una vita normale, di usufruire di tanti prodotti, beni di consumo, indumenti, libri (Amazon tra l’altro nasce come distributrice di volumi via Internet), oggetti per il proprio benessere e per la propria salute, senza rischiare di contagiarci, rimanendo nelle nostre tiepide case. A rischiare il contagio sono stati per noi i «driver», le migliaia di lavoratori che ci consegnavano la merce e ci assicuravano un servizio importante per superare questi giorni difficili.

A differenza di molti comparti economici in ginocchio (il turismo, la ristorazione, il settore delle palestre e dell’entertainment, dal cinema al teatro alla cultura) quello della logistica è stato «anticiclico» rispetto alla pandemia e per ovvie ragioni in crescita. Tutto questo significa nuovi posti di lavoro, reddito, riconversione di chi ha perso il posto, possibilità di una vita migliore per tante famiglie. Anche nella nostra zona, con il centro di Casirate e quello prossimo all’apertura di Cividate, che promette 900 nuovi impieghi.

Ma l’azienda di Seattle è anche il paradigma dell’economia (e dei diritti) al tempo della globalizzazione, comprese le siderali differenze patrimoniali che si vengono a creare tra management e il resto della forza lavoro (e alla fine della ricchezza tout-court sul Pianeta). Non è facile trattare con un gruppo che ha sede dall’altra parte dell’Oceano e dunque non avendo stakeholders in alcun territorio può permettersi di spostare i suoi interessi ovunque nel caso di ostacoli particolarmente sgraditi ai suoi progetti industriali. Il gigante della logistica solo nel 2020 ha assunto 437 mila nuovi addetti, arrivando a 1,2 milioni di dipendenti.

Nel terzo trimestre i ricavi del colosso dell’e-commerce sono aumentati del 37%, pari a 100 miliardi euro e Jeff Bezos, fondatore e principale azionista, ha visto aumentare il suo patrimonio personale da 113 a 192 miliardi di dollari. Mentre ai lavoratori è andato un aumento di 300 euro lordi nella busta paga di dicembre. Forse c’è qualche problema di squilibrio nella redistribuzione degli utili. È dunque auspicabile una ripresa delle trattative e un accordo di contrattazione collettiva che tenga conto da una parte dei diritti e delle prerogative dei lavoratori e dall’altra la sostenibilità delle aziende, anche questo un valore da preservare e proteggere, perché si traduce in benessere per il territorio.

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