L'Editoriale
Mercoledì 24 Aprile 2024
Aiuti a Kiev, smentito il disimpegno degli Usa
MONDO. Non è certo una svolta nella tragedia russo-ucraina, ma poco ci manca. Dopo lunghi mesi di complesse trattative tra repubblicani e democratici, il Congresso Usa ha approvato l’atteso piano di aiuti a Kiev per un valore complessivo di 60,84 miliardi di dollari.
Zelensky potrà così avere a disposizione armi per la difesa aerea, iniziando quel percorso che porterà l’Ucraina a costruire il suo «Iron Dome», la cupola che protegge Israele dagli attacchi nemici. Quella cupola che è stata in grado di eliminare il 14 aprile scorso il 99% dei droni e dei missili lanciati dall’Iran contro lo Stato ebraico.
Mettere l’Ucraina in sicurezza è l’obiettivo finale dell’Occidente in presenza della non volontà di Putin di porre termine alla sua «Operazione militare speciale». Il tanto tergiversare nelle sale parlamentari di Washington – spiegano esperti militari statunitensi – ha agevolato in Donbass «successi tattici» russi, i quali, però, non sarebbero in condizione di sfondare il fronte (anche per la presenza di sterminati campi minati) nonostante la stanchezza delle Forze armate di Kiev. I danni maggiori sono stati riportati negli ultimi mesi dalle infrastrutture energetiche civili, rimaste prive delle necessarie difese aeree.
Chiaramente il Cremlino è irritato dal voto del Congresso Usa, avendo sperato che il lungo tergiversare a Washington fosse il primo segnale del disimpegno occidentale dall’Ucraina. Tirare l’«Operazione speciale» all’infinito, stando ad alcuni strateghi federali, è infatti una delle linee da seguire. Ed invece il messaggio geopolitico recapitato a Mosca è di tutt’altro genere: sia l’Unione europea in precedenza sia gli Stati Uniti adesso hanno messo in chiaro - aprendo il portafoglio - che non intendono soprassedere a quanto accaduto ad Est dal 2014 ad oggi.
Una riflessione a questo punto è indispensabile: la vicenda degli aiuti Usa ribadisce la nuova sconfitta della diplomazia internazionale non in grado di fermare il conflitto. Solo le armi, questo il senso, possono calmare i bollenti spiriti.
Di notevole importanza è anche il contemporaneo via libera del Congresso Usa a tutte quelle misure sulla confisca degli attivi russi in Occidente a favore dell’Ucraina. L’intenzione è di distruggere gli ultimi ponti rimasti, costringendo gli oligarchi vicini a Putin a fare una scelta di campo. Nelle ultime due settimane un paio di magnati hanno visto la cancellazione o quasi di provvedimenti cautelari occidentali contro di loro. Evidente è il tentativo di creare i presupposti per vedere il nascere di una fronda in Russia contro il potere.
Questa settimana il segretario di Stato Usa sarà in Cina, a cui ripeterà - ma con ben altro tono grazie al voto del Congresso – di non aiutare in alcuna maniera la Russia nel suo sforzo bellico in Ucraina. Blinken, la cui visita seguirà quella ufficiale del cancelliere tedesco Scholz, avrà anche l’ingrato compito di spiegare a Pechino cosa sono gli 8,12 miliardi stanziati da Washington per «contrastare la Cina comunista» e per sostenere i partner regionali Usa: 1,9 miliardi sono destinati al rafforzamento dell’arsenale statunitense a Taiwan. Complessivamente gli Stati Uniti hanno approvato sabato scorso aiuti per 95,34 miliardi di dollari. Oltre a quelli per l’Ucraina e il contenimento della Cina, vi sono i 26,38 per Israele.
In questo modo, Trump o non Trump dopo il novembre 2024, gli Usa rilanciano il loro impegno nel mondo. I Paesi del nuovo «asse del male», come li chiamano ora a Washington - Russia, Iran, Corea del Nord con la Cina al momento in sospeso – sono avvertiti.
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