L'Editoriale
Martedì 09 Luglio 2019
Agonia di Vincent
Siamo sconfitti
Ci sono due livelli per analizzare il caso di Vincent Lambert, l’infermiere francese in stato vegetativo da 10 anni per le conseguenze di un incidente stradale. Com’è noto la decisione ultima e irrimediabile è stata quella di sospendere, a partire dal 2 luglio, l’alimentazione e l’idratazione. Ma su questa decisione abbiamo assistito al conflitto tra istituzioni come la Corte d’appello di Parigi e la Cassazione francese. È proprio questo il primo livello che è importante analizzare.
La Corte d’appello infatti aveva ordinato di riattivare i sostegni vitali dopo che medico e parte della famiglia avevano invece deciso per la sospensione. La Corte si era rifatta in particolare ad un documento di grande importanza e valore civile come la Convenzione Onu sui diritti delle persone disabili. Tra i diritti c’è anche quello alla «cura»: una parola chiave in tutta questa vicenda. La Cassazione invece ha contestato un motivo di «incompetenza formale» e ha quindi ribaltato la sentenza, legittimando la sospensione dell’idratazione nutritiva, con una decisione questa volta senza ritorno.
Il problema è che nel caso di Vincent non si è trattato di mettere fine a cure «inutili» che non avrebbero portato nessuna possibilità di miglioramento delle condizioni del paziente (è quella che il Codice francese chiama «l’ostinazione irragionevole»); questa volta si è trattato di fermare la «cura» di una persona in gravissimo stato di disabilità e che quindi non era in grado di nutrirsi da sola. Alimentazione e idratazioni non possono essere considerate terapia medica, ma sostegno vitale, che in tanti casi di fragilità viene garantito da meccanismi di istintiva solidarietà tra le persone. In sostanza a Vincent non è stata staccata la spina; gli è stato tolto il nutrimento necessario per sopravvivere. È grave quindi che a livello politico e pubblico si legittimino equivoci di questo tipo, anche al prezzo di conflitti tra istituzioni, come è accaduto in Francia in questa circostanza. Creare confusione su temi tanto sensibili e delicati è davvero una grave responsabilità.
C’è poi un altro livello che va preso in considerazione davanti alla vicenda di Vincent Lambert. Ed è il livello degli affetti. Com’è ben noto la famiglia di Lambert si è drammaticamente divisa rispetto a quale fosse la scelta migliore per Vincent. Da una parte la moglie e sei degli otto fratelli chiedevano la fine del calvario a cui vedevano sottoposto il loro caro; dall’altra i genitori e gli altri due fratelli che invece vedevano in Vincent una persona gravemente disabile, ma per questo con i suoi diritti e comunque capace, secondo loro, di rispondere a certi stimoli. Tutt’e due le posizioni erano dettate da un amore per la vittima: non è quindi giusto sospettare gli uni piuttosto che gli altri di calcolo o di ideologismo. Ognuno aveva un’idea diversa di quale fosse davvero il «bene» per Vincent. In questo conflitto tra due idee diverse di «bene» si misura tutta la drammaticità di quanto avvenuto nell’ospedale di Reims dove Lambert è ricoverato. Una drammaticità che non può essere strumentalizzata da nessuno e che deve essere rispettata anche nel suo contenuto misterioso. I genitori di Vincent si sono contraddistinti per una battaglia caparbia per difendere la possibilità di loro figlio di continuare a vivere, seppur in quelle condizioni. Hanno perso la loro battaglia, anche perché, per disperazione o esasperazione, hanno voluto giocarla troppo sul piano mediatico. Ma davanti a un dolore come questo non ci sono né vinti né vincitori. Tutti si è diversamente sconfitti. Accettare questo e rispettare il dolore diverso degli altri è il vero modo per rispettare anche la memoria di Vincent.
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