A Dublino per fare la storia

ITALIA. Finché c’è sentiero, si sale. Finché c’è ambizione, si cresce. Se non ti poni limiti, scoprirai di non averne.

L’Atalanta ragiona così, e così il 22 giocherà la seconda finale in una settimana, la prima della sua storia in una coppa europea. Tutti a Roma, prima, perché c’è una Coppa Italia da vincere, finalmente. E poi tutti a Dublino, per tentare l’ennesima sfida impossibile. Ma no, non sarà impossibile. Perché è impossibile solo l’intentato, e questa squadra, questo allenatore, questi dirigenti, questa città hanno deciso insieme di dimenticarsi il senso di quella parola. È impossibile solo quello che non vuoi. Altrimenti ti fermi anche se c’è ancora sentiero, altrimenti zittisci l’ambizione, altrimenti inneschi pensieri da perdente.

L’Atalanta non è questa cosa. L’Atalanta non parte battuta mai. E sta scrivendo una storia sportiva degna di un film, degna di una serie di Netflix, degna dei romanzi più avvincenti. Lo fa in fondo a una serata memorabile, dentro una partita che è quasi sembrata facile. Ma facile non era, facile è quel che facile sai far diventare. La partita è stata un dominio tecnico, dal 1’ al 90’. Si sapeva che il Marsiglia in casa è un leone e in trasferta diventa (quasi) un criceto. Terzo, nel suo campionato, per rendimento interno. E penultimo per rendimento esterno. Tre gol aveva preso in trasferta contro il Villarreal, due contro lo Shakhtar. Tutto coerente, sul campo del Gewiss. Un gol nel primo tempo, coronando una superiorità schiacciante. Un gol nel secondo. E quando una squadra normale avrebbe gestito, l’Atalanta ha continuato ad attaccare. Perché il miglior modo di difendersi è sempre attaccare.

Questo insegna Gasperini, questo fanno i giocatori. Segna Lookman, il primo: un giocatore nigeriano comprato in Inghilterra. Esempio lampante della capacità di prendere talenti dal mondo e farli crescere. Segna Ruggeri, figlio di Zogno e del vivaio: simbolo della capacità di crescere giocatori dentro casa e metterli al servizio della prima squadra. Segna Touré, il simbolo del futuro, della sapienza di investire, anche tantissimo, sui giovani. Questa è l’Atalanta, figlia di una città che adesso impazzisce di una gioia bella, pulita, sincera. Di gente che non andrà a dormire, di una passione che, come cantano in curva, non conosce confini. Come la capacità dell’Atalanta di andare oltre i propri limiti, di scrivere capitoli di una storia che adesso non è nemmeno immaginabile. È il 10 maggio, l’Atalanta è, oggi, la squadra italiana più in alto di tutte.

In corsa per la Champions, in finale di Coppa Italia, in finale di Europa League. «Solo noi», cantavamo nel 1988, quando la piccola Atalanta difendeva, da sola, il nostro Paese nelle coppe europee. Possiamo cantarla ancora, in fondo, perché solo noi siamo in corsa per tutto, perché solo noi non abbiamo scelto, perché solo noi non abbiamo rinunciato a niente, scegliendo di prenderci tutto. E già adesso, anche se non sappiamo come andranno queste due finali, già adesso possiamo e dobbiamo dire che aveva ragione lui, il mister, il carburante delle motivazioni e il carburatore dei risultati. Aveva ragione lui perché l’Atalanta non può fare calcoli, la passione non può ammettere rinunce. Vadano come vadano, le finali, perché la vera vittoria è il sottofondo di clacson mentre scriviamo, è questa notte che racconteremo per decenni come quella del Malines, come recitava lo striscione della meravigliosa curva, prima della partita.

Sarà finale col Bayer, che ha rischiato tantissimo contro la Roma. I tedeschi non hanno ancora perso, quest’anno: hanno dominato la Bundesliga, hanno fatto filotto in Europa League. Sarà dura, sarà un’altra salita. Impossibile batterli, sembrerebbe. Ma il calcio racconta spesso una storia diversa dall’impossibile. E non ditela mai, quella parola, se di mezzo c’è l’Atalanta.

© RIPRODUZIONE RISERVATA