A 31 anni dall’indipendenza la guerra cambia il volto dell’Ucraina

Un anno fa l’Ucraina celebrava i trent’anni della propria indipendenza con una grande e colorata parata nel centro di Kiev, conclusa dal sorvolo dell’Antonov AN225 Mriya, l’aereo più grande del mondo. Oggi, nel giorno del trentunesimo anniversario, il quadro è assai più triste: la parata è stata sostituita con un’esibizione di mezzi corazzati russi catturati, le manifestazioni pubbliche vietate perché pericolose e l’Antonov giace in pezzi nell’aeroporto di Hostomel’.

Un’altra scadenza purtroppo incombe: i sei mesi della guerra scatenata dalla Russia con l’invasione del 24 febbraio. Molti si consolano con la tenace e intelligente resistenza degli ucraini, ma allo sguardo obiettivo la situazione resta drammatica. Bombardata di sanzioni e costretta ad affrontare non solo gli ucraini ma anche la disponibilità di armamenti e di denaro dell’intero Occidente, la Russia non pare intenzionata a desistere. Anzi: i media russi del nazionalismo estremo pubblicano il countdown rispetto all’inverno, nella convinzione che l’Ucraina e parte dell’Europa tra pochi mesi non sapranno più come scaldare le case o alimentare le industrie. Non succederà, ma dalle parti di Vladimir Putin lo spirito è quello.

La guerra che sta cambiando il mondo, e che il Cremlino ha acceso proprio per modificare per sempre gli equilibri internazionali, ha in primo luogo cambiato proprio l’Ucraina. L’indipendenza, 31 anni fa, era stata certificata dal referendum del 1° dicembre 1991, in cui il 90,32% votò a favore del nuovo status. Erano i mesi del grande disfacimento, quelli in cui milioni di cittadini sovietici poco abituati a esprimersi liberamente venivano chiamati a scelte di portata storica. Non a caso pochi mesi prima, il 17 marzo 1991, gli ucraini al 71,48% avevano detto «sì» al mantenimento in vita dell’Unione Sovietica.

In questi decenni il senso di appartenenza nazionale si è sviluppato e consolidato, l’identità ucraina è diventata cosa assai più importante e concreta delle speranze e dei sogni dell’inizio degli anni Novanta. Ma sotto gli altri aspetti occorre essere realisti. C’è un’Ucraina post-invasione, quella che si batte ogni giorno, che è diventata portabandiera degli ideali e, perché no, anche degli interessi dei Paesi europei, che infatti hanno deciso di «adottarla» nella prospettiva di una futura adesione alla Ue. Ma dietro questo stendardo spunta l’Ucraina di sei mesi fa, di prima della guerra. Ovvero un Paese tra i più poveri (insieme con la Moldavia) e tra i più corrotti d’Europa, quello dei sei milioni di migranti economici, quello che ha eletto un Presidente vergognoso come Yanukovich e poi lo ha abbattuto con il Maidan che, nel 2014, è stato in parte una comprensibile rivolta popolare e in parte un colpo di Stato. Il Paese il cui ex Presidente, l’oligarca Petro Poroshenko, ha dichiarato che gli Accordi di Minsk, sottoscritti con la Russia sotto l’egida della Ue e in particolare di Francia e Germania, erano per lui solo un trucco per prendere tempo e rinforzare l’esercito.

Molto di tutto questo è avvenuto in condizioni di emergenza, con la Crimea scippata dalla Russia e la guerra accesa nel Donbass. Ma certo non tutto. E stiamo comunque parlando di otto anni su trentuno. Sono anche gli anni in cui la Ue, ora così sollecita, non fece un passo vero, decente, né per placare la crisi nel Donbass né per coinvolgere l’Ucraina. La speranza, ora, è non solo che la guerra finisca presto e restituisca l’Ucraina a una vita libera e pacifica. Ma anche che tante sofferenze, che hanno compattato la società intorno all’identità e alle ambizioni nazionali, rendano migliore la politica e la facciano capace di guidare il Paese verso il futuro che merita.

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