Un costo
insostenibile
per il futuro
del Paese

Il fenomeno della dispersione scolastica non è solo un problema educativo, ma una vera e propria emergenza sociale ed economica. Le gravi difficoltà strutturali di accesso al mercato del lavoro per i giovani, aggravate dai divari territoriali, di genere e generazionali, penalizzano chi abbandona precocemente gli studi, con ripercussioni significative sull’occupabilità e sulla crescita del Paese. L’Italia, non a caso, detiene il primato europeo dei Neet («Not in Education, Employment, or Training»): quasi un quarto dei giovani tra i 15 e i 34 anni (19,2%) si trova fuori da ogni percorso formativo e lavorativo, un dato ben superiore alla media europea del 13%. Questa situazione è strettamente correlata al tasso di abbandono scolastico precoce, che rimane allarmante soprattutto nel Mezzogiorno. Le regioni del Sud non solo registrano percentuali elevate di giovani che lasciano gli studi (fino al 21% in alcune aree), ma anche i più bassi livelli di competenze di base, rafforzando un ciclo di povertà educativa che limita ogni opportunità di riscatto. Al Nord, pur essendo meno diffuso l’abbandono scolastico, emerge un altro aspetto critico: il basso numero di laureati. Molti giovani, infatti, scelgono di entrare direttamente nel mercato del lavoro dopo la scuola superiore. Questa dinamica abbassa il livello di istruzione complessiva e riduce la competitività e la produttività del Paese rispetto ad altre economie europee, dove la formazione avanzata rappresenta un asset fondamentale. Le conseguenze di questa crisi educativa si riflettono in maniera evidente nel mondo del lavoro. Chi lascia la scuola senza completare un ciclo formativo è più vulnerabile alla disoccupazione, con un tasso di occupazione inferiore del 18,7% rispetto ai diplomati. Anche quando trova lavoro, deve spesso accontentarsi di contratti precari, salari bassi e limitate possibilità di crescita professionale. Questo non solo alimenta la marginalità economica e sociale, ma rappresenta un costo collettivo: meno entrate fiscali, più spesa per sussidi e un freno alla produttività del Paese. La ricerca di Inapp evidenzia come le condizioni di partenza abbiano un peso determinante. Circa l’80% dei giovani che abbandonano gli studi proviene da famiglie con bassi livelli di istruzione, spesso inquadrate in professioni a basso reddito. Questo dato sottolinea un’eredità culturale ed economica che si perpetua, limitando le prospettive di mobilità sociale. La povertà educativa è il risultato di un sistema che non riesce a compensare le disuguaglianze di origine, lasciando indietro chi ha più bisogno di supporto. Tuttavia, esistono soluzioni. Le politiche di contrasto alla dispersione scolastica devono integrare istruzione e lavoro, puntando su percorsi formativi più pratici e collegati alle richieste del mercato. Investire nella formazione tecnico-professionale, potenziare l’orientamento e migliorare la qualità dei servizi educativi, rappresentano passi fondamentali per prevenire l’abbandono. Allo stesso tempo, è necessario rafforzare il sistema di welfare, sostenendo le famiglie più fragili e promuovendo un accesso equo all’istruzione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA