«Personale, si fatica anche a trattenerlo: stipendio e benefit oggi non bastano più»

IL LAVORO CHE CAMBIA. Negrisoli, presidente di Flamma Group: le imprese devono cambiare la loro organizzazione. «In questo momento difficile trovare nuovi collaboratori, alla fine si riesce ma alzando i salari in modo anomalo».

«Le imprese devono cambiare organizzazione del lavoro: questo sarà il prossimo must, così come oggi lo è la sostenibilità». A dirlo con convinzione è Gian Paolo Negrisoli, presidente di Flamma Group di Chignolo d’Isola, una delle aziende bergamasche Top 500 secondo l’omonimo rapporto 2023 stilato da Pwc in collaborazione con Confindustria Bergamo, Università di Bergamo e Intesa Sanpaolo, specializzata nella produzione di principi attivi e intermedi per l’industria farmaceutica dal 1950.

«La cultura del lavoro è profondamente cambiata, le persone non sono più disposte al sacrificio, vogliono vivere meglio - continua Negrisoli -. Anche per questo motivo si fa tanta fatica a trovare personale»

«La cultura del lavoro è profondamente cambiata, le persone non sono più disposte al sacrificio, vogliono vivere meglio - continua Negrisoli -. Anche per questo motivo si fa tanta fatica a trovare personale. In Flamma alcune posizioni sono aperte da tempo, e il problema esiste a tutti i livelli, dagli ingegneri agli operatori di reparto fino ai manutentori. Per noi uno degli ostacoli è che lavoriamo 7 giorni su 7, mentre i giovani non amano i turni, ma non vogliono neppure fare troppi chilometri per andare al lavoro».

Oggi nel gruppo Flamma, che ha chiuso il 2022 con un fatturato consolidato di 135 milioni e un Ebitda del 17%, lavorano oltre 760 persone, 255 delle quali nello stabilimento di Chignolo, 130 a Isso, 45 a Bulciago e le altre in Cina, Stati Uniti e Francia, per il 35% laureati e per il 50% diplomati. «Il tema delle risorse umane per noi è sempre stato importante - fa presente Negrisoli -. Di fatto siamo una realtà familiare, io sono un imprenditore di seconda generazione, ora in azienda lavora anche la terza generazione. Uno dei nostri valori è l’armonia: sono convinto che senza non si lavori bene, anche perché passiamo al lavoro il 40% del nostro tempo da svegli, quindi le persone devono venire in azienda volentieri».

Ecco perché Flamma si preoccupava della cosiddetta “retention”, cioè di riuscire a trattenere il personale, già quando questo termine non era di moda. «Il nostro primo piano di pensione integrativa risale a fine anni Ottanta, quando eravamo ancora un’azienda di sole 30 persone - racconta Negrisoli -. Abbiamo sempre offerto fringe benefit, welfare, smart working ben prima del Covid e per i 70 anni dell’azienda abbiamo voluto regalare a ogni collaboratore un’emozione con un voucher che permetteva di fare un’esperienza mai vissuta prima, come guidare una Ferrari o perfino dormire in un igloo».

Flamma propone anche incentivi per frequentare master universitari e un programma di internazionalizzazione per permettere ai dipendenti di fare esperienza all’estero andando a lavorare in Cina o negli Stati Uniti, “un’opportunità che ai giovani interessa, ma che non tutte le aziende sono in grado di offrire”», rimarca Negrisoli.

«Abbiamo registrato più dimissioni del solito, perciò abbiamo capito che qualcosa non andava - ammette il presidente di Flamma - e abbiamo deciso di sottoporre un questionario a tutti i dipendenti per mettere a fuoco opinioni e richieste».

Negli ultimi tempi, però, tutto questo ha cominciato a non bastare. «Abbiamo registrato più dimissioni del solito, perciò abbiamo capito che qualcosa non andava - ammette il presidente di Flamma - e abbiamo deciso di sottoporre un questionario a tutti i dipendenti per mettere a fuoco opinioni e richieste». Ora Flamma ha avviato un piano per rispondere alle esigenze emerse. Presto sarà pronta una nuova intranet aziendale per migliorare la comunicazione interna, ma sono arrivate anche una nuova mensa e una palestra nel sito di Chignolo.

«Quando eravamo piccoli prendevamo collaboratori da altre aziende - conclude Negrisoli -, adesso sono gli altri ad attingere da noi. Da un lato sono orgoglioso, perché vuol dire che i nostri collaboratori sono ambiti, però perdiamo dipendenti che abbiamo impiegato tempo e denaro a formare. In un territorio con il 3% di disoccupazione si fa fatica a trovare personale. Alla fine si riesce, ma alzando i salari in modo anomalo: spesso ci sono posizioni pagate meglio di altre che in realtà comportano maggiori responsabilità. Ecco perché nei prossimi anni sarà di capitale importanza per le aziende rivedere l’organizzazione del lavoro».

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