Economia / Bergamo Città
Sabato 18 Aprile 2020
Lo stop del commercio: persi 32,5 milioni
Oltre 1.400 le attività chiuse a Bergamo
Le stime di Ascom: in città perdite equivalenti al guadagno mensile di 16 mila addetti. Fusini: a rischio il 30% dei bar e ristoranti, stiamo lavorando a protocolli standard per ripartire in sicurezza.
La chiusura dei negozi che non vendono prodotti alimentari e di prima necessità imposta dal Decreto del presidente del Consiglio dei ministri dell’11 marzo ha avuto conseguenze economiche pesanti sul settore, tanto che le associazioni di categoria temono una moria di imprese commerciali una volta superata la fase dell’emergenza sanitaria.
«Perdite non recuperabili»
Ascom Bergamo calcola che a un mese dall’entrata in vigore del Dpcm negozi, bar, ristoranti e alberghi della città abbiano subito una perdita di fatturato stimata intorno ai 32,5 milioni di euro, che corrisponderebbe alla perdita del guadagno mensile di circa 16.000 addetti del settore. «Dati prudenziali, calcolati al netto di un travaso degli acquisti compiuti dai consumatori, che da quando è iniziata la serrata hanno speso di più per i generi alimentari – spiega Oscar Fusini, direttore di Ascom Confcommercio Bergamo –. Resta il fatto che si tratta di cifre molto alte, che difficilmente potranno essere recuperate». Secondo le rilevazioni di Confcommercio nella città di Bergamo sono aperte 745 imprese che coprono l’intero settore del commercio al dettaglio alimentare, i grossisti alimentari, tabacchi, edicole, farmacie e parafarmacie, benzinai e parzialmente anche alcuni settori del non alimentare come ottici, ortopedie, elettrodomestici, imprese del commercio elettronico e forniture industriali.Risultano invece chiuse 691 imprese del settore turistico con 391 bar, 246 ristoranti, 53 strutture d’accoglienza e una sala da ballo. Si tratta per lo più di piccole imprese con un fatturato stimato di quasi 13,5 milioni di euro andato in fumo nell’ultimo mese, per una media di 19.414 euro di fatturato mensile.
In città sono chiuse anche 783 imprese non alimentari tra cui 421 negozi di abbigliamento e calzature, 86 tra librai e cartolai e 69 negozi di mobili. In questo caso la perdita di fatturato stimata è di circa 18,8 milioni di euro per una media di fatturato mensile di 24.121 euro. «La stima – prosegue Fusini – è calcolata tra imprese di settori diversi e dagli introiti diversificati: si va dai 42 fioristi che perdono circa 6.600 euro di fatturato mensile agli 11 concessionari della città con 250.000/300.000 euro in media di fatturato perso».
Abbigliamento in crisi
Le preoccupazioni maggiori per il futuro riguardano i negozi di scarpe e vestiti ma anche bar e ristoranti. «Per questi ultimi, bar in particolare, siamo molto preoccupati. Temiamo che il 30% si trovi nelle condizioni di non riaprire più. Anche il settore dell’abbigliamento e calzature ne uscirà molto indebolito, stiamo parlando di oltre 400 attività nella sola città di Bergamo. I commercianti si sono esposti finanziariamente, le collezioni primaverili sono rimaste invendute, quelle invernali sono già state ordinate. Molto dipenderà da quando sarà possibile riaprire». Quando e in quali condizioni, questa è la grande incognita. L’orientamento è quello di consentire riaperture in sicurezza osservando le regole che impongono una distanza di almeno un metro tra le persone, l’uso di gel per la pulizia delle mani, mascherine e guanti, e gli ingressi scaglionati sia nei grandi che, a maggior ragione, nei piccoli negozi. «Ci aspettiamo che si prosegua sulla strada intrapresa – continua il direttore di Ascom – e che si possa ripartire presto ma in sicurezza. Immaginiamo che le riaperture saranno diversificate a seconda delle attività. Stiamo lavorando a livello regionale a protocolli standard che tutelino commerciati e clientela».
Certo il modo di fare acquisti cambierà, già ci stiamo abituando. Nei negozi ingressi contingentati, orari di apertura diversi, attenzione alle regole che i cartelli affissi agli ingressi ci ricordano di seguire. E consegne a domicilio sempre più diffuse, soprattutto da parte dei negozi di generi alimentari.
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