Le molestie sul lavoro. Più norme e congedi nei contratti collettivi

IL QUADRO. Aumenta la sensibilità anche negli integrativi. Chi subisce è in maggioranza donna tra 15 e 24 anni. Dalla formazione ai permessi straordinari per le vittime.

Aumenta il numero di contratti collettivi di lavoro che contengono misure in materia di violenza di genere. La sensibilità al fenomeno emerge anche negli ultimi rinnovi sottoscritti dall’inizio dell’anno, ovvero il contratto per i dipendenti degli studi e delle attività professionali, siglato lo scorso 16 febbraio, quello per l’industria alimentare del primo marzo e quello per terziario, commercio, distribuzione e servizi del 22 marzo.

Violenze sul lavoro: i dati

Secondo i dati Istat le persone tra i 15 e i 70 anni che in Italia hanno subìto episodi di violenza o molestie sul lavoro nel corso della vita sono più di due milioni, per l’81,6% donne. Nella maggior parte dei casi hanno tra i 15 e i 24 anni, sono inquadrate come operaie, ma non mancano impiegate e quadri direttivi, con livelli di incidenza più elevati nel Nord-Ovest.

Ma cosa fanno le parti sociali per prevenire e contrastare il fenomeno? Adapt, l’associazione di ricerca fondata dal giuslavorista Marco Biagi, ha analizzato i 30 contratti collettivi più applicati a livello nazionale, che coinvolgono in media oltre un milione di aziende e più di 11 milioni di lavoratori. Ne emerge che il 56% misure introdotte punta alla prevenzione delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro, mentre il 44% mira alla tutela delle vittime.

Sono soltanto 98 su 1.894, invece, gli accordi aziendali che prevedono misure in materia, in aumento, però, del 21% tra il 2019, anno di approvazione del Codice rosso, e il 2023. «L’interesse delle parti sociali sta crescendo - sottolinea la ricercatrice Stefania Negri, autrice dello studio insieme a Chiara Altilio -. Non solo si stanno via via inserendo norme sul contrasto alla violenza di genere nei rinnovi nazionali, ma sono cresciute le previsioni anche nei contratti aziendali, passate dal 12% nel 2019 al 33% nel 2023, finalizzate per l’85% alla protezione delle vittime, con elementi innovativi rispetto ai contratti nazionali».

Lo strumento più diffuso è l’estensione del periodo di congedo retribuito (41%), con decorrenza della retribuzione di durata variabile, da un minimo di 30 giorni a un massimo di 6 mesi. Alcuni contratti integrativi inseriscono il prolungamento del congedo, ma con una copertura parziale della retribuzione, altri prevedono la conservazione del posto di lavoro senza il riconoscimento di un’indennità economica.

Altre misure previste sono la trasformazione del contratto in part-time (18%), l’uso di permessi e banca ore solidale (12%), ma anche l’anticipo del Tfr (3%), lo smart working (3%), il ricorso al premio aziendale (4%), la modifica dei recapiti aziendali (2%).

Tre misure nei rinnovi

«Nei rinnovi dei contratti nazionali - conferma Paolo Rota, vicepresidente di Confindustria Bergamo con delega alle relazioni industriali - si stanno inserendo tre tipi di misure: l’informazione e formazione in azienda fino a tre ore, l’esposizione in bacheca dell’accordo contro la violenza di genere sottoscritto da Confindustria nazionale con Cgil, Cisl e Uil, ma soprattutto la previsione di congedi e permessi straordinari».

Ancora fatica a denunciare

I congedi, però, sono condizionati alla presa in carico da parte di un centro antiviolenza. «Il passaggio difficile - fa presente Alberto Citerio, responsabile dell’Ufficio Vertenze della Cisl di Bergamo - è proprio convincere le vittime a compiere certi passi. Se, da un lato, le donne hanno acquisito molta più consapevolezza, dall’altro fanno ancora fatica a denunciare eventuali comportamenti illeciti: spesso vogliono solo risolvere in fretta il rapporto di lavoro».

Nella maggior parte dei casi «i molestatori hanno ruoli di qualche responsabilità - racconta Citerio - mentre le persone molestate hanno mansioni e ruoli di categoria bassa e quindi sono più ricattabili. Sicuramente nelle imprese più grandi c’è più attenzione al fenomeno, perché ne va anche dell’immagine aziendale, mentre nelle piccole c’è meno abitudine al confronto sindacale e quindi le tutele sono inferiori».

«Dal punto di vista legislativo gli strumenti per combattere la violenza di genere ci sono - commenta Rota -. Il problema è di natura culturale, a cominciare da cosa si intenda per molestia, ecco perché informazione e formazione devono diventare sempre più centrali. Per superare la paura di denunciare, invece, la diffusione del whistleblowing (segnalazioni riservate, ndr)rappresenta un vantaggio».

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