Lavoro, rimbalzo assunzioni: a marzo +27,8%
Sblocco dei licenziamenti, estate calda

Secondo i dati della Provincia la crescita sfiora il 28%, ma il dato è ancora lontano dai livelli pre Covid. Recupero in tutti i settori tranne che nel commercio e servizi. Crollano i contratti a tempo indeterminato (-24%). A fine giugno lo sblocco dei licenziamenti: sindacati in ansia, industriali cauti.

Il bicchiere mezzo pieno fa segnare un più 27,8% in quanto ad assunzioni con contratto di lavoro dipendente nella nostra provincia a marzo di quest’anno rispetto allo stesso mese del 2020. Di contro, il bicchiere mezzo vuoto mostra come siamo ancora distanti dai dati di marzo 2019 (meno 8,4%). Traducendo le percentuali in cifre, a marzo 2021 le assunzioni si sono attestate a quota 9.458; erano 7.403 a marzo dell’anno scorso e 10.328 a marzo 2019, a testimonianza di una (lenta) risalita. Stando al report dell’Osservatorio Mercato del lavoro-Settore Sviluppo della Provincia, il saldo mensile riferito a marzo di quest’anno è positivo per 983 unità. E lo è per il terzo mese consecutivo, grazie al fatto che le cessazioni (8.475 a marzo) continuano a calare su base annua (meno 10,2%) e ancor più se il raffronto si fa con i numeri di due anni fa (meno 12% su marzo 2019). Considerando invece il primo trimestre di quest’anno, le assunzioni sono state 29.224 e le cessazioni 22.559, con un saldo positivo di 6.665 posizioni di lavoro, «all’incirca il doppio del risultato del primo trimestre 2020, ma ancora al di sotto dei livelli del 2019», si legge nel report.

Nel confronto con dicembre dell’anno scorso, poi, quando il saldo tra assunzioni e cessazioni era negativo per 3.598 unità, emerge un’altra nota positiva: a marzo 2021 il saldo, pur mantenendosi in territorio negativo, lo è per sole 120 unità, a riprova di «un quasi completo riassorbimento della perdita occupazionale», evidenzia l’analisi della Provincia.

Nel primo trimestre le assunzioni sono cresciute in tutti i settori, con l’eccezione di commercio e servizi, dove si registra un meno 19,8% di ingressi, percentuale che tocca meno 26% se il raffronto si fa con i dati dei primi tre mesi del 2019. Bene invece l’agricoltura (più 8,7%), le costruzioni (più 9,3%) e l’industria (più 5,3%). C’è da rilevare, però, che se nelle costruzioni il saldo tra assunzioni e cessazioni è positivo per 1.641 unità, l’industria arranca: il saldo, qui, è positivo per 720 posizioni lavorative, ancora molto distante dalle 1.937 del primo trimestre 2019.

Spostando l’attenzione sulla tipologia di contratti, le assunzioni a tempo indeterminato crollano: se ne contano 7.163 nel primo trimestre, in calo del 24,2% rispetto allo stesso periodo del 2020 e del 34,6% su quello del 2019. Dopo il boom di trasformazioni da tempo determinato a tempo indeterminato registratosi nell’ultimo trimestre del 2020 (più di 4 mila, in aumento del 31% su base annua), le stabilizzazioni si sono fermate a 2.106 nei primi tre mesi del 2021 (meno 38% su base annua).

Rispetto alle figure professionali più gettonate, tra gennaio e marzo 2021 risultano in forte aumento le assunzioni di conduttori di impianti, operai addetti ai macchinari e conducenti di veicoli (5.091, il 15,7% in più su base annua e pressoché uguale ai livelli del primo trimestre 2019), che avevano evidenziato segnali positivi già sul finire del 2020. Crescono anche le assunzioni di operai specializzati: 6.018, in aumento del 2,8%. Le assunzioni tra le professioni non qualificate (7.405) si riducono su base annua (meno 9,4%), ma si portano al di sopra dei livelli di inizio 2019 (più 4,9%).

Uno spaccato interessante lo offrono anche gli ingressi in base ai Centri per l’impiego, in tutto 10 nella nostra provincia. Per quanto, nel primo trimestre dell’anno, le assunzioni riscontrate in tutti i Centri siano superiori a quelle degli ultimi tre mesi del 2020, in alcuni Cpi risultano pesantemente in calo rispetto al primo trimestre 2020. Vedi il Centro per l’impiego di Trescore Balneario, dove si registra un meno 24%; mentre si distingue quello di Romano di Lombardia, l’unico in territorio positivo (più 3,8%).

Considerazioni che spingono Orazio Amboni della Cgil a sostenere che «l’andamento del mercato del lavoro lascia spazio a qualche speranza, tanto più perché i segnali di ripresa sono rapportati non tanto a marzo 2020 (nel pieno della bufera), quanto piuttosto ai valori pre-crisi». E Danilo Mazzola della segreteria Cisl afferma: «Il momento è ancora delicato, per questo è necessario prolungare il blocco dei licenziamenti per tutti i settori fino al 31 ottobre, approvare la riforma degli ammortizzatori sociali, bloccare la proposta di semplificazione in materia di appalti e lavorare ad un accordo nazionale in materia di salute e sicurezza».

SBLOCCO LICENZIAMENTI A FINE GIUGNO: SINDACATI IN ANSIA, INDUSTRIALI CAUTI

Numeri non ne fanno - neppure stime - ma qualche considerazione sì, a partire dal fatto che, se proprio stop al blocco dei licenziamenti deve essere, almeno che sia accompagnato da una riforma degli ammortizzatori sociali e da adeguate politiche attive del lavoro. È il ragionamento dei segretari generali di Cgil, Cisl e Uil di Bergamo - Gianni Peracchi, Francesco Corna e Angelo Nozza - che rilevano come i settori - e quindi i lavoratori - più esposti siano quelli legati a commercio e turismo.

La fine del blocco dei licenziamenti resta fissata al 30 giugno per i lavoratori dell’industria - dopo l’apertura del ministro del Lavoro, Andrea Orlando, al 28 agosto - ma l’esecutivo protrae il divieto per chi farà ricorso alla cassa integrazione.

A smorzare le preoccupazioni, ci pensa Agostino Piccinali, vicepresidente di Confindustria Bergamo con delega a lavoro e relazioni sindacali: «Premesso che ogni buon imprenditore deve sempre coniugare l’attaccamento alle proprie risorse umane con l’equilibrio dei conti, al momento non ci sono evidenze numeriche da parte delle aziende: con il termine del blocco, nell’industria non crediamo che assisteremo ad un’improvviso peggioramento occupazionale». Certo, continua Piccinali, «procediamo a macchia di leopardo: ci sono situazioni abbastanza positive e qualche settore in sofferenza, perché, in alcuni casi, non sono stati ancora superati gli strascichi della chiusura prolungata di negozi ed esercizi commerciali».

«Sul nostro territorio c’è una parte del manifatturiero che si è ripresa, mentre il settore della ricezione presumibilmente potrebbe avere delle difficoltà», afferma Corna (Cisl). Ecco perché «prima di parlare di sblocco dei licenziamenti vorremmo che si procedesse ad una riforma in cui tutti fossero coperti da un ammortizzatore sociale (e che tutti vi contribuissero), oltre a politiche attive che aiutino le persone a trovare lavoro», continua Corna. Sul fronte cassa integrazione «esistono quattro-cinque modelli di Cig, in cui alcune aziende pagano il contributo e altre no». E, giusto per dare un’idea di quello che è successo a Bergamo, «nel 2019 le ore di cassa ammontavano a 3,9 milioni, mentre nel 2020 hanno superato i 200 milioni, considerando anche Fsba e Fis», sottolinea Corna.

Per Nozza (Uil) si tratta di «una questione di rispetto», perché «questa situazione non è stata creata da chi lavora: ci sono settori che impiegheranno anni per tornare alla situazione pre Covid, quindi sarà molto complicato che non si perdano posti di lavoro nel commercio e nel turismo». Tirando le somme, «o ci prendiamo tempo utile per costruire soluzioni alternative attraverso la formazione professionale mirata, o studiamo un nuovo tipo di ammortizzatore sociale, perché ad oggi c’è chi non ha una tutela dignitosa». Il numero uno della Uil precisa comunque che dopo la fine del blocco dei licenziamenti «non penso a un’ecatombe, ma a situazioni che possono essere preoccupanti, in particolare per il personale di ristoranti, cinema, teatri». Dal canto suo Peracchi (Cgil) caldeggia «una proroga ulteriore del blocco dei licenziamenti, in attesa di definire una revisione più organica degli ammortizzatori sociali, tenendo conto che noi abbiamo chiesto una proroga almeno fino al 31 ottobre». Rispetto alla posizione di Confindustria (che insiste per lo sblocco), Peracchi commenta: «Risulta difficilmente comprensibile, anche perché l’eventuale ricorso alla cassa integrazione non prevede alcun costo a carico delle aziende». In più, «se le imprese vogliono ristrutturare e ringiovanire il parco dipendenti, ci sono strumenti come il potenziamento dei contratti di espansione e di solidarietà che con tutti i loro limiti possono aiutare». Da rilevare che «nel primo trimestre dell’anno si è avuto un incremento del 9% di personale sociosanitario: i percorsi formativi per Oss e Asa sono più accessibili rispetto ad altri e questo settore potrebbe dare sbocco occupazionale a chi si trovasse in crisi».

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