Il posto fisso piace meno: in una decina d’anni 76% in più di dimissioni

LAVORO. Dalle 18.499 del 2014 alle 32.551 del 2023: il boom dopo il Covid. In media 90 casi al giorno. E sono soprattutto i più giovani a lasciare.

Il contratto a tempo indeterminato, il posto fisso, la sicurezza. Nella rivoluzione recente del mercato del lavoro, le vecchie certezze s’infrangono: lasciare il lavoro è sempre più frequente, per scelta. C’è un dato, un numero, che riassume a mo’ di metafora quello che sta accadendo: in media, in Bergamasca ogni giorno ci sono quasi 90 lavoratori a tempo indeterminato che scelgono di dimettersi volontariamente. C’è chi lo fa per cambiare azienda scegliendo forme più flessibili restando però nello stesso settore, sfruttando la «fame» di dipendenti che attanaglia gran parte delle imprese e cercando magari una migliore traiettoria di carriera, e c’è chi invece fa scelte di vita più radicale: cambiare completamente campo, tornare a studiare, dedicarsi alla famiglia, trasferirsi altrove.

In provincia di Bergamo sono stati 7.785 i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato che tra gennaio e marzo hanno cessato volontariamente il proprio rapporto di lavoro, presentando le dimissioni, l’equivalente di 86 al giorno

I numeri

È il riflesso locale di un fenomeno globale che porta il nome di «great resignation», le «grandi dimissioni» che sono decollate nel post Covid e che continuano ancora oggi. A raccontare questa tendenza sono gli ultimi dati dell’Inps riferiti al primo trimestre del 2024: in provincia di Bergamo sono stati 7.785 i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato che tra gennaio e marzo hanno cessato volontariamente il proprio rapporto di lavoro, presentando le dimissioni, l’equivalente di 86 al giorno. Una progressione sostanzialmente in linea alle 7.811 dimissioni volontarie – l’analisi è sempre riferita ai lavoratori a tempo indeterminato, la rappresentazione più tipica del posto fisso – del primo trimestre 2023, e solo qualcosa in meno delle 8.030 del 2022, l’anno del boom. Lo spartiacque sembra essere proprio il post pandemia: a gennaio-marzo 2019 le dimissioni volontarie di dipendenti a tempo indeterminato erano state 5.325, nel 2018 se n’erano contati 5.081, nel 2017 «solo» 4.588. Considerando gli anni «pieni», nel giro di un decennio si passa addirittura dalle 18.499 dimissioni del 2014 alle 32.551 del 2023: un aumento vertiginoso pari al +76%.

In diversi casi le dimissioni sono motivate dal cambio di lavoro, oggi più che un tempo». Ma perché? «Le risposte dal nostro osservatorio sono queste – elenca Redondi –: per uno stipendio migliore, per avvicinarsi a casa, per un orario di lavoro più flessibile o comunque più aderente alle esigenze di vita, per una migliore prospettiva di crescita professionale, per un ambiente di lavoro motivante»

Alle radici del fenomeno

Se la tendenza è globale, scavando nei numeri si scorgono alcune peculiarità – e anche criticità – locali. La Cgil di Bergamo parte dall’analisi dell’andamento delle «cessazioni», cioè la fine dei rapporti di lavoro per tutte le motivazioni (non solo dimissioni volontarie, ma anche scadenza dei contratti, licenziamenti di natura economica o disciplinare e così via): «Proprio parlando di dimissioni, emerge un altro dato che riguarda il nostro territorio e che merita attenzione – sottolinea Paola Redondi, che nella segreteria provinciale della Cgil ha la delega al mercato del lavoro –. Nella fascia di età tra i 15 e 29 anni il 38,6% delle cessazioni è da ricondurre a dimissioni volontarie, mentre è del 45,3% nella fascia 30-50 anni. Si tratta di valori più alti rispetto alla media regionale, a quella del Nord-Ovest, del Nord-Est e del livello nazionale. Questa quota di dimissioni può essere spiegata, soprattutto nella platea femminile, dalla difficoltà di conciliazione vita-lavoro. Ma non è l’unica spiegazione: in diversi casi le dimissioni sono motivate dal cambio di lavoro, oggi più che un tempo». Ma perché? «Le risposte dal nostro osservatorio sono queste – elenca Redondi –: per uno stipendio migliore, per avvicinarsi a casa, per un orario di lavoro più flessibile o comunque più aderente alle esigenze di vita, per una migliore prospettiva di crescita professionale, per un ambiente di lavoro motivante. Sono questi gli ingredienti che determinano la maggiore attrattività di un posto di lavoro rispetto ad un altro, e sono sempre questi gli elementi che nelle realtà e nei settori in cui la contrattazione è più avanzata determinano la capacità di trattenere le persone».

I motivi? Esigenze e scelte di vita, che in parte il Covid ha accelerato e che fino a qualche anno fa erano inaccessibili: gestire in modo più flessibile il proprio lavoro e conciliare al meglio i tempi di vita e di lavoro

Anche per Danilo Mazzola, componente della segreteria provinciale della Cisl con delega al mercato del lavoro, «dietro a questi numeri si trovano esigenze e scelte di vita, che in parte il Covid ha accelerato e che fino a qualche anno fa erano inaccessibili: gestire in modo più flessibile il proprio lavoro e conciliare al meglio i tempi di vita e di lavoro, per le nuove generazioni ha un’importanza che non possiamo più sottovalutare». Una sorta di frattura rispetto al passato: «Si sta giustamente passando dalla convinzione degli anni Novanta che portava a dire “un qualsiasi posto di lavoro l’importante che sia a tempo indeterminato”, anche perché allora la tecnologia era limitata, alla ricerca di un lavoro che dia soddisfazioni e realizzi professionalmente», ragiona Mazzola. Che fare, per dare risposta ai lavoratori? «Qui entra in campo la capacità della contrattazione nel gestire momenti di cambiamento così delicati, a beneficio di un’economia come quella bergamasca con una presenza manifatturiera importante e con il mondo dei servizi in forte sviluppo, che oltre a gestire il tema del calo demografico deve anche tener conto di un diverso approccio al lavoro rispetto al passato – conclude il sindacalista –. Va anche evidenziato che spesso le dimissioni da un posto di lavoro a tempo indeterminato non sono un salto nel buio o vissute come un gesto liberatorio, ma sono accompagnate da prospettive di un nuovo impiego che cerchi di valorizzare gli aspetti prima richiamati».

«Si sta giustamente passando dalla convinzione degli anni Novanta che portava a dire “un qualsiasi posto di lavoro l’importante che sia a tempo indeterminato”, anche perché allora la tecnologia era limitata, alla ricerca di un lavoro che dia soddisfazioni e realizzi professionalmente»

© RIPRODUZIONE RISERVATA