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Lunedì 20 Gennaio 2025
Giù il potere d’acquisto: dal 2014 in Bergamasca persi 779 euro all’anno
CAROVITA. Stipendi cresciuti meno dell’inflazione: per i dipendenti pubblici perdita oltre i 3mila euro lordi. Per i privati è 1.790. Va meglio per gli artigiani.
Se ci si limitasse a guardare la cifra impressa sulla busta paga, prendendone una del 2014 e una del 2023, il responso sarebbe confortante: un discreto incremento. Ma c’è un convitato di pietra, l’inflazione, che erode costantemente quei soldi. Non è una semplice impressione, ma la realtà dei fatti: tra il 2014 e il 2023, il potere d’acquisto di un lavoratore bergamasco si è ridotto mediamente di 779 euro lordi all’anno, circa 65 euro al mese; se ci si concentra sui dipendenti del privato il gap è di 1.792 euro annui (150 euro al mese), addirittura per i lavoratori pubblici si sale a 3.130 euro annui (260 euro al mese). La differenza tra salari e costo della vita si scorge incrociando i dati dell’Inps sui redditi dei lavoratori e quelli dell’Istat sull’andamento dei prezzi.
Le due velocità
Mediamente, stando all’Inps, nel 2014 un lavoratore bergamasco – considerando tutte le tipologie, dal dipendente all’autonomo, dal lavoratore domestico alle gestioni separate – aveva maturato un reddito di 24.088 euro lordi annui, e tra le categorie più tipiche si segnalavano i 24.127 euro dei dipendenti privati e i 29.996 dei dipendenti pubblici. Al 2023, secondo gli ultimi dati dell’Inps diffusi nelle scorse settimane, il reddito medio di un lavoratore bergamasco è salito a 27.789 euro lordi annui, e nel dettaglio a 26.823 euro per i dipendenti del privato e a 32.445 euro per i dipendenti pubblici. In sostanza, il valore «nominale» – quello inciso in busta paga o nella dichiarazione dei redditi – è effettivamente cresciuto.
I salari non stanno al passo dell’inflazione: si apre così una forbice negativa tra il reddito reale e quello necessario per tenere il passo dell’inflazione
Ma ha tenuto il passo del costo della vita? No. L’Istat, infatti, permette di «rivalutare» gli stipendi (o comunque qualsiasi dato economico, dai prezzi ai valori degli immobili) nel corso del tempo, sulla base di un coefficiente legato all’«indice dei prezzi al consumo per famiglie, operai e impiegati». Così, i 24.088 euro del 2014 corrisponderebbero a 28.568 del 2023, perché nel frattempo il costo della vita è cresciuto – secondo i parametri dell’Istat – del 18,6%. Invece i dati reali indicano che in Bergamasca, negli stessi anni, i redditi dei lavoratori sono aumentati solo del 15,4%. I salari non stanno al passo dell’inflazione: si apre così una forbice negativa tra il reddito «reale» (quanto effettivamente si guadagnava nel 2023) e il reddito «ideale» (quello necessario per tenere il passo dell’inflazione) pari a 779 euro.
C’è chi si «salva»: è cresciuto il potere di acquisto degli artigiani e delle «cariche elettive»
Se poi si disaggregano i dati a seconda della tipologia di lavoro, ecco che emergono le categorie più svantaggiate: i dipendenti del privato (il cui reddito medio è aumentato «solo» dell’11,2%) «perdono» appunto 1.792 euro annui, quelli del pubblico (dove gli stipendi sono cresciuti solo dell’8,2%, nemmeno la metà dell’inflazione) ne perdono 3.130. C’è chi si «salva»: rispetto al 2014, nel 2023 è cresciuto il potere di acquisto degli artigiani (+1.305 euro annui) e delle «cariche elettive» (categoria in cui rientrano gli amministratori di società, i legali rappresentanti, ma anche amministratori di enti locali: +6.335 euro annui).
Il rischio povertà
Mina Busi, presidente di Adiconsum Bergamo, lo definisce «l’eterno problema»: «In Italia gli stipendi e le pensioni sono i più bassi e i più tartassati d’Europa. Non stanno al passo dell’inflazione e gli aumenti sono irrisori: se pensiamo alle pensioni, quelle medio-alte sono penalizzate dal fatto che non vengono completamente adeguate all’inflazione, mentre le minime hanno incrementi irrisori, come per il 2025 con un aumento addirittura inferiore ai 2 euro». Nell’incrocio tra stipendi e inflazione c’è «la realtà dei fatti», riflette Christian Perria, presidente di Federconsumatori Bergamo: «L’inflazione ha dato una batosta a lavoratori, consumatori, pensionati, mentre gli adeguamenti sono stati insufficienti: i rinnovi contrattuali spesso arrivano in ritardo, a distanza di anni, mentre gli aumenti delle pensioni sono irrisori».
«Le tredicesime di dicembre se ne vanno soprattutto per le spese obbligate, come le bollette, mentre l’indebitamento delle famiglie aumenta»
La conseguenza si legge nella vita quotidiana: «Le tredicesime di dicembre se ne vanno soprattutto per le spese obbligate, come le bollette, mentre l’indebitamento delle famiglie aumenta – rileva Busi -. Se capitano degli imprevisti, dalla caldaia rotta al bisogno di un dentista, si ricorre sempre più al finanziamento. Le persone sovraindebitate stanno aumentando anche a Bergamo, e anche tra gli insospettabili: ci sono persone con stipendio da 1.800 euro al mese, in teoria buono, ma che tra mutui e altri finanziamenti sono costrette a vivere con 500 euro al mese per fare la spesa, pagare le bollette, mantenere i figli. Basta poco e ci si ritrova nella fascia degli indigenti».
Famiglie e spese impreviste
«La spesa è sempre più cara, il fenomeno più insidioso è la shrinkflation: si tratta di quei prodotti che riducono la propria grammatura ma continuano ad avere lo stesso prezzo, dando al consumatore l’illusione di non subire gli aumenti, ma in realtà si acquista un prodotto più “piccolo” allo stesso prezzo, e quindi si paga in proporzione di più – prosegue Christian Perria -. Ai nostri sportelli troviamo sempre più famiglie che vanno in difficoltà per via di un imprevisto di 300-400, non esorbitante, ma a cui è difficile farvi fronte anche perché si stanno intaccando i risparmi: così, c’è meno possibilità per sostenere queste spese extra ma necessarie».
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