Distretto bebè addio tra calo delle nascite e concorrenza cinese

LA RITIRATA. Restano pochissime realtà per la prima infanzia nell’area Telgate-Grumello: erano 14 soltanto nel 2007. Chi resiste diversifica e punta su innovazione e green.

Tutto parte dalla decrescita demografica che vede l’Italia al palo ormai da decenni. Se il 2020, complice la pandemia, ha visto infatti 15mila nati in meno rispetto all’anno precedente, i periodi a seguire, come conferma Istat, non hanno invertito rotta, tanto che il 2022 ha segnato un’ulteriore contrazione (6mila nascite in meno rispetto al 2021). La denatalità, oltre a pesare sull’età media della popolazione italiana, ha avuto inevitabili ricadute anche sull’economia. L’indotto legato alla puericultura e all’infanzia, ormai da quasi un ventennio, arranca e le imprese dedicate alla produzione di articoli baby si sono trovate a dover chiudere i battenti o a diversificare la produzione. Lo sanno bene le aziende bergamasche che di questi prodotti hanno fatto il loro centro e che oggi si contano sulle dita di una mano. Sono bastati 15 anni per rivoluzionare un intero comparto, prevalentemente concentrato nell’area compresa tra Telgate e Grumello del Monte: se nel 2007, infatti, secondo un’indagine della Camera di commercio di Milano, la provincia di Bergamo si meritava il titolo di «capitale dei passeggini», complice l’elevato numero di imprese impegnate nel settore, nel 2023 il distretto si è quasi azzerato. Delle 14 aziende che si occupavano di prima infanzia ne rimane oggi un manipolo che, per far fronte alla debacle, ha puntato su innovazione e sostenibilità, diversificando la produzione.

Tre brand che rilanciano

A tener alta la bandiera del settore sono ormai tre brand (più qualche terzista minore), che si trovano a fronteggiare la competizione agguerrita soprattutto dei marchi asiatici.

Lo conferma Monica Rho, Responsabile marketing di Cam Il Mondo Del Bambino, azienda di Telgate che, presente in 74 Paesi nel mondo, rimane tra i colossi del comparto. «Negli ultimi 15 anni il settore ha pagato uno scotto pesante, frutto di problematiche complesse che hanno causato una sensibile contrazione del mercato. Se la pandemia ha portato alla chiusura di aziende che da tempo erano in condizioni critiche, complici i mancati investimenti in innovazione e sviluppo di prodotti, il sensibile calo della natalità e del potere d’acquisto hanno influito in maniera non secondaria». Così come innegabile è l’impatto dei prodotti «made in China», Paese che da fornitore di materiali ha saputo sviluppare propri brand a prezzi e condizioni non sostenibili per le nostre realtà. 

«Non si tutelano le imprese»

«Questa concorrenza ad armi impari troviamo sia molto sleale e pensiamo che sia un peccato che le istituzioni non facciano nulla per tutelare le imprese». Ne è anche convinta Elena Erli, responsabile vendite per l’Italia di OkBaby, impresa di Telgate a conduzione familiare con 45 anni di specializzazione nello stampaggio della gomma plastica destinata al mondo infanzia: «Soprattutto dopo la pandemia – dice - a farsi largo sono state anche aziende dell’Est Europa, come la Polonia, che hanno immesso sul mercato prodotti qualitativamente discreti, dai prezzi competitivi. Per tenere il passo bisogna continuare ad investire in innovazione e in macchinari sempre più performanti per rispondere ai bisogni concreti delle mamme. Poi, a differenza di altri Paesi europei, i cui governi incentivano le nascite con una serie di bonus e servizi ad hoc, cosa che da noi non accade. Il numero sempre più risicato di bambini impatta sul settore, che ha iniziato l’anno facendo però ben sperare grazie alla riduzione dei costi delle materie prime, lo scorso anno aumentati esponenzialmente».

Che proprio la loro lievitazione abbia contribuito nel 2022 a generare criticità lo sostiene anche Luciano Bonetti, presidente di Foppapedretti, con sede a Grumello del Monte, che declina l’«universo infanzia» nelle linee «Bambino Technology», «Bambino Legno» e «Mammamia collection». «Che la concorrenza straniera, cinese in primis, basata esclusivamente sulla politica del prezzo abbia completamente modificato gli scenari esistenti è un dato di fatto - spiega Bonetti -, ma a determinare la crisi del distretto locale è stata anche l’incapacità delle Pmi di fare sistema, nel momento in cui grossi brand, si imponevano sul mercato. A cadere sul campo sono state soprattutto le realtà che facevano del fattore prezzo il loro paradigma, mentre a resistere sono state le aziende che hanno eletto innovazione e qualità a capisaldi dello sviluppo».

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