Dimissioni dal lavoro: nella Bergamasca il 77,6 per cento di chi lascia è donna - Video

IL FENOMENO. Nel 2022 sono stati 1.118 gli abbandoni femminili sul totale di 1.440. Numeri in crescita dopo il Covid. La Cisl: i servizi sono insufficienti.

La disparità è evidente, strutturale, difficile da scalfire. Il peso della cura familiare continua a ricadere prevalentemente sulle donne, con ripercussioni pesanti sui loro percorsi lavorativi. Lo testimonia il vissuto quotidiano, lo certificano i numeri: più di 3 dimissioni volontarie su 4 in Bergamasca riguardano le donne, ed è una proporzione stabile, anzi con una lieve tendenza al rialzo. Ci si allontana dal lavoro perché si devono crescere i figli, perché l’asilo nido costa troppo, o perché magari si deve accudire un parente anziano o fragile.

Gli ultimi dati della Direzione centrale Vigilanza dell’Ispettorato nazionale del lavoro (Inl) riferiti alla provincia di Bergamo raccontano di 1.440 dimissioni tra i lavoratori nel 2022 (l’ultimo anno per cui sono disponibili numeri consolidati): di queste, ben 1.118 (il 77,6%) hanno riguardato donne. Il divario era stato sostanzialmente lo stesso anche nel 2020: a fronte di un numero minore di dimissioni (1.051), il 77,4% delle pratiche era stato presentato da donne (813 dimissioni in tutto). Nel 2019, l’ultimo anno di normalità pre-pandemica, la quota di dimissioni tra le donne era stata anzi lievemente minore: si era attestata al 75,2%, cioè 1.071 su un totale di 1.425. Proprio questa sostanziale continuità nel rapporto di forza suggerisce come il fenomeno sia consolidato.

Dimissioni volontarie, tornano a crescere tra le lavoratrici che diventano mamme. Video di www.bergamotv.it

«Carenze di servizi»

Per Candida Sonzogni, della segreteria provinciale della Cisl Bergamo, «i dati, letti insieme alle dinamiche demografiche e a quelle del mercato del lavoro, confermano le difficoltà delle mamme al lavoro. Tuttavia una riflessione rispetto alle motivazioni dichiarate in fase di dimissioni, e a come sono cambiate dal 2019 al 2022, ci permette di mettere in evidenza che le mamme soffrono maggiormente le difficoltà connesse ai servizi, mentre sembra che le difficoltà connesse al lavoro abbiano un impatto meno significativo nel decidere di dimettersi: per esempio, le donne che si sono dimesse nel terziario sono passate dall’83% al 73%». Un segnale interessante per cogliere alcuni cambiamenti nell’organizzazione del lavoro: «A ciò può avere contribuito una maggiore diffusione dello smartworking, la capacità di trovare un diverso equilibrio tra vita e lavoro grazie anche alle buone pratiche nei luoghi di lavoro e alla capacità e volontà del sindacato di contrattare conciliazione per donne e per uomini – ragiona Sonzogni –. Certamente molto si deve fare sul fronte dei servizi, che restano un elemento estremamente critico a livello generale, anche perché sarà sempre meno probabile che i nonni continuino ad assolvere il compito di cura dei propri nipoti, così come siamo abituati a vedere ancora oggi».

Perché ci si dimette?

Il sindacato ha passato in rassegna anche i dati dell’Inps sul profilo di queste lavoratrici e sulle dimissioni: quasi il 90% degli allontanamenti volontari tra le donne avvengono tra i 24 e i 40 anni; più nello specifico, la metà dei genitori (considerando anche gli uomini) si dimette per il primo figlio, un altro 40% all’arrivo del secondo, la restante parte dal terzo in poi. A lasciare il lavoro è soprattutto chi ha qualifiche più basse, perché nel 95% dei casi si tratta di operai o impiegati.

Che ci sia una questione di fondo a determinare una forbice così ampia lo suggerisce anche una specifica casistica di motivazioni: le dimissioni volontarie finalizzate al passaggio in un’altra azienda sono solo il 25% tra le donne, contro l’84% tra gli uomini. Tra le criticità maggiori che spingono a lasciare il lavoro ci sono l’assenza di parenti di supporto, il mancato accoglimento all’asilo nido o il non potersi permettere un asilo nido o una babysitter, ma anche la distanza dalla sede di lavoro o i cambiamenti nell’organizzazione aziendale.La conseguenza è che la partecipazione delle donne al mercato del lavoro è bassa, e la Bergamasca sconta una criticità peculiare.

Occupazione a due velocità

Se qui il tasso di occupazione è ai massimi (nel 2022 era al 67,8%, contro il 60,1% nazionale), si viaggia però a due velocità: scomponendo i dati per genere, il tasso di occupazione maschile viaggia al 77% mentre quello femminile si ferma al 57,8% (19,2 punti in meno degli uomini, e anche sotto la media lombarda che si attesta al 60,4%). Tra le donne bergamasche, poi, il tasso di disoccupazione (4,8%) è doppio rispetto agli uomini (2,4%). «I dati evidenziano le difficoltà della nostra provincia nel mantenere un dato occupazionale femminile in linea con la situazione lombarda ed europea – commenta Danilo Mazzola, della segreteria provinciale della Cisl –. La nostra provincia deve fare molto di più per permettere alle donne di lavorare e di rimanere al lavoro in particolare quando hanno figli, visti i dati sulle dimissioni entro i tre anni di vita del bambino che hanno registrato un aumento del 6% rispetto al 2019». Che fare? «Servono più politiche, partendo dalla contrattazione – conclude Mazzola –, dedicate ai temi di conciliazione vita-lavoro utili a un mercato del lavoro che a Bergamo fa fatica a trovare lavoratori e lavoratrici».

© RIPRODUZIONE RISERVATA