Dazi al 200%: il vino orobico è spaventato: «Cosi addio agli Usa»

LO SCENARIO. Grande preoccupazione tra i produttori sull’escalation: «Penalizzati i consumatori americani». E c’è chi pensa a dirottare l’attenzione su altri mercati.

«Prima ancora che Trump si insediasse alla Casa Bianca, il mio principale cliente americano mi ha sollecitato di anticipare i tempi della consegna prevista per i prossimi mesi. La paura dei dazi aleggiava già. Non c’è isteria, ma si naviga a vista: non sappiamo che cosa succederà». Le parole di Manuele Biava, produttore di Scanzorosciate che ha consolidato un ponte tra le colline orobiche e New York (e non solo, dato che esporta in tre Continenti il 70% del suo Moscato di Scanzo), fotografano un riflesso della tensione commerciale sull’asse Bruxelles-Washington, che sta trovando nel vino (e nelle bevande alcoliche) parte della sua espressione.

La minaccia di dazi del 200% sui vini europei

Specialmente adesso che Trump ha minacciato di applicare dazi del 200% sui vini europei, in risposta alle tariffe Ue al 50% che da aprile interesseranno prodotti americani come bourbon, jeans e motocicli (reazione, a loro volta, ai dazi Usa del 25% sull’import di acciaio e alluminio). Una partita a scacchi che, lontano dai proclami, sembra presentare più sconfitti che vincitori. A ribadirlo solo le associazioni di rappresentanza del vino europeo e italiano (l’Europa rischia di perdere 4,9 miliardi di euro di export, di cui 1,9 a carico dell’Italia, che è il Paese che più dipende dal mercato Usa) tanto quanto i distributori e i produttori di distillati americani. «È un gatto che si morde la coda - analizza Emanuele Medolago Albani, titolare dell’azienda Medolago Albani di Trescore Balneario, attiva Oltreoceano ma sul mercato canadese -. Il clamore di Trump genera un clima di preoccupazione che spinge il comparto sulla difensiva. Nel caso saranno applicati dazi pesanti, anche i consumatori, gli importatori americani e i destinatari dei controdazi europei pagheranno un danno collaterale, innescando una crisi nel mercato Usa oltre che in quello europeo. Sono fiducioso che le trattative reali sapranno affrontare la questione in modo misurato». «Ho però il presentimento - aggiunge Biava - che con queste dinamiche dovremo convivere a lungo. Le conseguenze che subiremo sono al momento ignote», nonostante la fascia «super premium» a cui si rivolge il produttore scanzese può reggere meglio la zavorra dei dazi rispetto ai prodotti su altri segmenti di prezzo.

Per ora danni limitati

Per il vino orobico, l’America non rappresenta ancora una rotta battuta ma è sicuramente una vetrina prestigiosa e posizionante. «Oltre che costosa - spiega Alessandro Sala, titolare dell’azienda Nove Lune di Cenate Sopra -. Ho della domanda che proviene dagli Stati Uniti ma, per piccole quantità, l’esportazione Usa è complessa ed espone al rischio di perdere competitività per via del prezzo finale che si raggiunge. Se fino ad oggi esportare negli Usa era una possibilità sul tavolo, i dazi ci sbarrerebbero del tutto la strada». A questo punto, è facile che tanti produttori optino per altri mercati esteri, bypassando quello americano.

«Le chiusure commerciali non sono mai un segnale positivo perché sopprimono opportunità e generano un effetto domino che si manifesterà comunque in modo indiretto»

I Consorzi di Tutela orobici osservano attentamente l’evoluzione della situazione. «Più che per il comparto locale - commenta Marco Locatelli, presidente del Consorzio Valcalepio -, i dazi peserebbero sui distretti del vino italiano che lavorano molto con l’estero, come le Langhe, la Toscana, il Prosecco o la Valpolicella. Per il Valcalepio, che guarda soprattutto il mercato interno, le misure americane non esercitano un grande impatto». «La situazione, però, preoccupa nel suo complesso - aggiunge Francesca Pagnoncelli Folcieri, presidente del Consorzio di Tutela Moscato di Scanzo -: le chiusure commerciali non sono mai un segnale positivo perché sopprimono opportunità e generano un effetto domino che si manifesterà comunque in modo indiretto. I limitati volumi che produciamo rendono l’export una ciliegina sulla torta e, in quanto prodotto di nicchia, il Moscato di Scanzo risente di meno le oscillazioni del mercato».

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