Economia / Bergamo Città
Domenica 05 Gennaio 2025
Climate change, la sfida nei vigneti. La alcalepio è «a basso rischio»
IL PROGETTO. La più longeva Doc bergamasca potrebbe trarre vantaggio dall’innalzamento delle temperature. Locatelli: «I nostri grappoli più soggetti alle conseguenze del maltempo estremo».
Tra siccità prolungate, precipitazioni estreme e stagioni stravolte, la viticoltura si sta misurando con nuove strategie di adattamento ai cambiamenti del clima. Una necessità concreta per tutelare le produzioni e per dare futuro ad un settore in grande trasformazione, alle prese con consumi in discesa e da reinterpretare costantemente con rapidità.
Nella Bergamasca, questo percorso adattivo deve partire dal fermento delle nuove generazioni, dalla solidità dei rapporti socioeconomici e dalla prossimità ai centri di ricerca e innovazione, e, al contempo, deve potenziare il ruolo delle aree naturali, la sostenibilità finanziaria delle imprese e la gestione degli eventi climatici eccezionali.
Il progetto «Winemap Climate»
Lo afferma il quadro riferito alla Doc Valcalepio restituito da «Winemap Climate», progetto promosso dall’istituto italiano di ricerca Eurac Research insieme alle Università di Venezia, Trás-os-Montes e Alto Douro (Portogallo) e Innsbruck (Austria). Basandosi sulla raccolta e sull’armonizzazione di dati provenienti da fonti diverse, il gruppo interdisciplinare ha rilasciato una mappa interattiva di 1.174 Dop europee con l’obiettivo di fornire informazioni utili per affrontare le sfide dei viticoltori dalla Danimarca fino a Creta.
Un lavoro non senza lacune, per lo meno dal punto di vista orobico. Tra le Dop catalogate ma non analizzate risulta la Moscato di Scanzo, unica Docg bergamasca, mentre, sotto la lente di ingrandimento dei ricercatori, è rientrata la Doc Terre del Colleoni, che grossomodo ricalca i valori della più longeva Doc bergamasca.
Rischio basso per la Valcalepio
La Valcalepio fa parte del 27% delle denominazioni definite a basso rischio, «non a livello assoluto - precisano gli esperti -, ma in comparazione alle altre Dop europee». La ricerca spiega che il territorio «potrebbe dover attuare strategie di adattamento più estese di altre regioni per far fronte all’evoluzione delle condizioni» ma che, per assurdo, potrebbe «trarre vantaggio da alcuni aspetti del cambiamento climatico come l’aumento del contenuto di zucchero nell’uva». Un fattore positivo sotto il profilo della maturazione tecnologica delle uve ma meno per il loro equilibrio e per il contesto di mercato, che sta premiando i vini a bassa gradazione alcolica.
«L’analisi - spiega Marco Locatelli, presidente del Consorzio di Tutela Valcalepio - è realistica: pur non soffrendo direttamente l’innalzamento medio delle temperature, i nostri grappoli sono trasformati o minacciati dalle conseguenze del maltempo estremo come piogge prolungate, grandinate o ondate di calore».
La pagella stilata dai ricercatori alterna «materie» da 9 con alcune insufficienze. A brillare sono i criteri sociale (91/100) e umano (87/100): gli assi nella manica della Valcalepio sono il fermento delle nuove generazioni, la qualità dei rapporti socioeconomici, la vicinanza ai centri di ricerca, la disponibilità dei lavoratori e il livello di istruzione dei decisori. Stando alla ricerca, l’ambito finanziario accoglie una sufficienza arrotondata per eccesso (56/100), giudicata sulla base della redditività e del rapporto di indebitamento delle imprese, oltre che dell’indipendenza dai sussidi. «Ciò è dovuto alle caratteristiche intrinseche del comparto locale - continua Locatelli -, costituito per lo più da piccole imprese che si appoggiano ad attività come l’ospitalità o la ristorazione, che contribuiscono alla stabilità aziendale». Si passa poi agli esami di riparazione, che riguardano la dimensione naturale (43/100) e fisica (26/100). Nel primo caso sono valutate come insufficienti la presenza di aree potenziali per la trasformazione delle zone viticole (ad esempio, l’innalzamento di quota dei vigneti), la disponibilità idrica e la variabilità della temperatura. «Il territorio vitato orobico - commenta Locatelli – insiste infatti in una fascia geografica stretta e urbanizzata, che lascia poche possibilità di sviluppo alternativo».
L’importanza di unire le forze
Il basso risultato ottenuto nella dimensione fisica è dovuto al livello di meccanizzazione (in rapporto al valore dei macchinari) e al basso impatto delle aree naturali per il controllo dei parassiti. «I boschetti vergini - analizza Stefano Lorenzi, arboricoltore e membro della Commissione tecnica del Consorzio Valcalepio -, se valorizzati, possono rappresentare un alleato per la salute del vigneto. La collina orobica non è povera di aree verdi ma le isole naturali spesso non comunicano tra loro. In prospettiva, è importante unire le forze a livello interistituzionale o tra aziende vicine per gestire le aree naturali abbandonate. Un’azione utile per creare corridoi ecologici e regimentare le acque piovane, sempre più spesso fattore di rischio legato agli eventi meteorici estremi, come evidenziato dalle dure inondazioni dello scorso autunno in varie zone d’Europa».
© RIPRODUZIONE RISERVATA