Caro tassi, ordini giù: l’industria orobica ora investe di meno

IL REPORT. Previsioni poco rosee per il 2024: per molti non ci sono esigenze attuali, il contesto però non aiuta. Mazzoleni: «Pesa il ciclo manifatturiero negativo».

Chissà se con il «Piano Transizione 5.0», che punta a sostenere gli investimenti in digitalizzazione e transizione «green», le imprese torneranno a investire. Del resto sul piatto, nel biennio 2024-2025, ci sono circa 13 miliardi di risorse da Pnrr. Perché l’anno scorso, stando al focus della Camera di commercio di Bergamo, la propensione a investire da parte delle realtà manifatturiere della nostra provincia ha mostrato un calo, tanto nell’industria quanto nell’artigianato. Mentre per quanto riguarda il terziario, i valori sono sostanzialmente in linea con quelli del 2022.

Il punto è che il quadro non migliora nemmeno guardando l’anno in corso e sono soprattutto gli artigiani a evidenziare una scarsa fiducia, con un saldo tra previsioni di aumento e diminuzione che risulta ampiamente negativo (meno 23 punti).

Perché l’anno scorso, stando al focus della Camera di commercio di Bergamo, la propensione a investire da parte delle realtà manifatturiere della nostra provincia ha mostrato un calo, tanto nell’industria quanto nell’artigianato. Mentre per quanto riguarda il terziario, i valori sono sostanzialmente in linea con quelli del 2022.

«Atteggiamento di prudenza»

La lettura che ne dà Carlo Mazzoleni, presidente dell’ente camerale, è che «le ragioni dietro la diminuzione della propensione a investire vanno ricercate primariamente nel ciclo manifatturiero negativo, arretrato in Bergamasca dello 0,9%». Ma c’è di più: «L’atteggiamento di prudenza è anche conseguenza della situazione di incertezza a livello internazionale, della politica monetaria restrittiva e di attesa del Piano nazionale Transizione 5.0».

Nel 2023, in ambito industriale, la quota di imprese investitrici è passata dal 69% al 60%, pur restando di gran lunga il comparto con il valore più elevato, anche per le dimensioni medie che caratterizzano le realtà del settore. Il calo è più marcato a Bergamo che in Lombardia, determinando così la perdita del vantaggio registrato negli anni passati. Tra le aziende artigiane la percentuale scende dal 34% al 28%, confinando il comparto all’ultimo posto tra quelli analizzati.

Andando a guardare i motivi per cui le aziende del nostro territorio hanno messo in stand by gli investimenti, il principale è la mancanza di una reale esigenza, con percentuali che vanno dal 29% dell’industria al 59% dei servizi. Al secondo posto c’è il fatto che gli investimenti sono già stati realizzati negli anni precedenti, sulla spinta della forte crescita economica, del basso costo del denaro e degli incentivi per i lavori edili. A seguire ci sono le aziende che hanno programmato investimenti per i prossimi anni. Le prospettive di mercato incerte rappresentano un freno per una quota compresa tra il 15% (nell’industria) e il 6% (nei servizi), con numeri in calo rispetto al 2022, mentre si riscontra una crescita per quanto riguarda la mancanza di risorse finanziarie nel commercio al dettaglio (15%) e nell’industria (9%), «motivazione forse collegata agli elevati tassi di interesse registrati nel corso dell’anno - si legge nel report camerale - che hanno innalzato i costi dei finanziamento».

Basse percentuali in ricerca

Ma vediamo dove si concentrano gli investimenti delle imprese bergamasche. In primis, in impianti, macchinari e veicoli, con percentuali elevate trasversali a tutti i comparti. Gli investimenti in questi beni materiali pesano per oltre la metà del valore (con l’esclusione del commercio: 43%). Nei servizi sono significative anche le voci relative a fabbricati e terreni (12%) e alle attrezzature informatiche (11%).

Risulta invece inferiore al 20% il valore degli investimenti immateriali, dove la voce più importante è rappresentata dai software, in particolare nell’industria (7,7%). Il peso di consulenza, ricerca e sviluppo e formazione raccoglie una quota compresa tra il 3% e il 4%, mentre risulta marginale il valore di brevetti, concessioni e licenze, che oscilla intorno all’1%.

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