Economia / Isola e Valle San Martino
Sabato 16 Maggio 2020
Aziende, la corsa a produrre
mascherine: 50 mila al giorno
Un grande sforzo comune compiuto dalle realtà bergamasche. In poco tempo hanno riconvertito la produzione, arrivando a grandi numeri.
All’inizio dell’emergenza le mascherine erano introvabili, tanto che da più parti era stato lanciato l’appello alla riconversione industriale. Ora sono diventate compagne indispensabili delle nostre giornate e lo saranno per molto tempo ancora. Da quando il decreto Cura Italia del 17 marzo ha consentito la produzione in deroga alla normativa vigente, anche nella Bergamasca molte aziende si sono messe in gioco e ormai la produzione orobica si attesta sui 50 mila pezzi al giorno. Con un distinguo: quelle chirurgiche hanno la certificazione dell’Istituto superiore di sanità e possono essere usate in ambiente sanitario, mentre quelle per la collettività non hanno particolari certificazioni.
Santini tra gli apripista
Fra le prime imprese a mettersi in gioco c’è stato il maglificio Santini di Lallio. Con il supporto di Confindustria Bergamo l’azienda specializzata in abbigliamento per il ciclismo ha ottenuto la certificazione in deroga e da fine aprile ha iniziato a produrre una mascherina chirurgica monouso realizzata con nove strati sovrapposti di tessuto. È stata battezzata «Molamia», lo slogan di Bergamo nelle settimane più buie dell’emergenza, ed è frutto di una filiera a chilometro zero: RadiciGroup fornisce il tessuto non tessuto, accoppiata a una membrana realizzata da Plastik Textile, mentre MiniPack Torre provvede all’imbustamento e Steris alla sanificazione.
La produzione di Santini è arrivata a 65 mila pezzi a settimana. «Abbiamo iniziato quest’avventura per dare una mano - racconta l’amministratore delegato Monica Santini - ma stavamo per fermarci dopo l’annuncio del prezzo imposto da parte del commissario Arcuri: non solo non riuscivamo a stare nei costi, ma ci siamo anche visti trattare da speculatori. Abbiamo deciso di andare avanti, anche perché vendiamo alle aziende, non al consumatore finale, e lo faremo finché ci sarà bisogno. Poi torneremo volentieri a dedicarci al nostro business tradizionale».
Anche Naimoli Tech di Brembate Sopra, che produce principalmente scaldaletto con fibra di carbonio, ha riconvertito la produzione per realizzare mascherine. «Le nostre non sono in deroga, ma certificate dal ministero della Salute e marcate CE - sottolinea il direttore commerciale Marco Rossi -. Sono chirurgiche a tre strati: l’interno e l’esterno sono in poliestere elasticizzato, quello intermedio è in poliuretano espanso da 2,5 millimetri». Da fine marzo Naimoli ne produce oltre 2.000 sempre per il B2B, cioè aziende e distributori.
Si è riconvertita parzialmente alla produzione di mascherine - tra le 6 e le 8.000 al giorno - pure Officina Italia di Carvico, la società che ha l’esclusiva del marchio Esercito Italiano. «Abbiamo ottenuto la certificazione in deroga per il tipo chirurgico IIR - sottolinea uno dei titolari, Patrizio Villa - ma il prezzo imposto ha creato grossi problemi di mercato».
Ha completato l’iter certificativo in deroga come dispositivo medico di tipo II anche la mascherina Bm Angel del Maglificio Ghidotti Srl di Cologno al Serio, realizzata in tnt made in Italy. «Abbiamo portato avanti tutto l’iter con l’aiuto di Confindustria Bergamo - spiega Ivan Ghidotti, legale rappresentante della società - e aspettiamo solo il via libera per la commercializzazione. Ne stiamo producendo 10 mila a settimana, per ora ferme in magazzino, ma la nostra capacità è dieci volte maggiore». Ghidotti produce anche altri due modelli di mascherine, destinate però alla collettività in base all’articolo 16 del decreto Cura Italia: uno è lavabile, l’altro usa e getta, e ogni giorno ne vengono realizzati 1.000 pezzi del primo tipo e 2.000 del secondo.
Tecnofilati a quota 300 mila
Ed è una mascherina per la collettività anche quella prodotta da Tecnofilati di Medolago. «Facciamo noi dal filato al prodotto finito - sottolinea il fondatore Andrea Abati -. Avevamo iniziato a fabbricarle per uso interno, poi ci sono arrivate richieste di altre aziende che non riuscivano a trovarle. Ora ne produciamo 15 mila pezzi al giorno e siamo arrivati a un totale di 300 mila dall’inizio dell’emergenza». La mascherina Tecnofilati è a doppio strato, uno esterno in Resistex Carbon con proprietà batteriostatiche, uno interno in poliammide, entrambi idrorepellenti, e sono lavabili e riutilizzabili una decina di volte. L’azienda sta mettendo a punto anche un’altra mascherina. “Useremo un filato di rame che riesce a dimezzare la carica virale dopo due ore e ad azzerarla dopo quattro - racconta Abati -. Abbiamo già depositato il brevetto e puntiamo a ottenere la certificazione come dispositivo medico». Ma la corsa alla riconversione non è finita. Altre aziende si preparano a lanciarsi sul mercato.
© RIPRODUZIONE RISERVATA