Economia
Martedì 19 Novembre 2019
Alti costi con le carte? «È una scusa»
Commissioni inferiori alla media Ue
Patuelli: «Le commissioni in Italia inferiori alla media Ue». Pagamenti elettronici, siamo ultimi. Il singolare boom di Pos: un terzo del totale in Europa. Fusioni: «Svolta nella Bce, ma decideranno cda e azionisti»
L’Italia è il fanalino di coda in Europa per numero di operazioni pro capite con strumenti elettronici (carte di credito, bancomat, prepagate): 111 operazioni all’anno contro una media area euro di 265 (come singoli Paesi, la Germania è a 273, la Francia a 349, l’Olanda a 505). Superata nel 2018 anche da Grecia, Malta e Cipro.
Questo nonostante nel nostro Paese le commissioni applicate dalle banche e dagli intermediari che gestiscono i Pos (i terminali in cui inserire le carte per i pagamenti) siano di poco inferiori alla media europea: l’1,1%del valore della transazione in Italia, l’1,2% la media europea. A pagare le commissioni più costose sono Olanda, Svizzera (1,6%), Germania e Svezia (1,5%). Meno dell’Italia pagano solo il Belgio (1%), la Francia (0,7%) e la Spagna (0,6%). Questo il quadro fornito dal presidente dell’Associazione bancaria italiana Antonio Patuelli - che resterà in carica fino al luglio 2022, a conclusione del mandato recentemente prolungato - al seminario Abi con la stampa a Ravenna. A tal proposito, ha criticato le «litanie» dei politici che hanno chiesto alle banche di ridurre i costi delle commissioni, ricordando che «i prezzi amministrati sono stati aboliti da un quarto di secolo».
Il presidente ha, comunque, anche evidenziato che nel periodo 2013-2018 il numero delle transazioni con le carte - nell’ambito dei pagamenti alternativi al contante - è cresciuto del 71%, con una quota che oggi è del 59,6%% (seguono i bonifici al 20,9%, la domiciliazione delle bollette al 17,2%, gli assegni al 2,2%). Ma ecco un dato sorprendente fornito da Patuelli: l’Italia è prima in classifica per numero di Pos, 5.200 ogni 100 mila abitanti contro i 2.800 dell’area euro. «Addirittura i Pos italiani - ha sottolineato il presidente Abi - sono oltre un terzo del totale dell’intera area euro».
Ma come si conciliano i pochi pagamenti elettronici con il numero spropositato di Pos? «Il commerciante o albergatore o ristoratore - ha detto Patuelli - può anche avere 6 o 7 Pos. Questo perché i commercianti sono più avanti anche della loro stessa “narrazione” e hanno già messo in concorrenza i fornitori di Pos e selezionano i pagamenti a seconda dei fornitori». Ma come si spiega la «maglia nera» in Europa per i pagamenti con le carte? In fondo le commissioni sono basse, i Pos abbondano, e allora perché? «Dipende dall’evasione fiscale - ha risposto il presidente dei banchieri italiani - manca la volontà». E si preferisce ancora il contante. «Non è che non si accetta la carta per i costi della stessa e delle commissioni, quella è la scusa di chi vuole evadere l’Iva». Patuelli si è detto però contrario all’uso di «sistemi repressivi» per imporre il pagamento elettronico, anche perché di fatto impraticabili. «Noi crediamo negli incentivi e nella concorrenza», ha detto. Per gli incentivi c’è già un modello: il credito d’imposta introdotto l’anno scorso per i benzinai. Quanto alla concorrenza, Patuelli ha invitato a fare come lui che, per comprare le marche da bollo, va solo da una tabaccaia di Ravenna che, rara avis, accetta le carte. Insomma, premiare i virtuosi: «Più si sviluppa la concorrenza e più crescono i pagamenti elettronici».
Chiuso questo lungo capitolo, Patuelli - tra le altre cose - ha parlato delle fusioni bancarie (le ricorrenti voci da tempo vedono in prima linea Ubi, Banco Bpm, Mps e Bper) che potrebbero essere agevolate dall’italiano Andrea Enria, che ha preso il posto della francese Danièle Nouy alla guida della Vigilanza europea: «Enria sta realizzando nei fatti, senza grandi annunci, una sostanziale svolta rispetto al quinquennio della Nouy, caratterizzato più dal diniego che dal confronto», ha detto Patuelli.
Il presidente Abi non si è sbilanciato sui tempi, ma è probabile che il 2020 possa essere l’inizio della svolta per le aggregazioni. Sempre però ricordando che «le fusioni, salvo il caso del medico-vigilanza che decide nel caso in cui ci sia una “malattia”, dipendono dalle scelte degli azionisti e degli amministratori che scelgono il loro modello di business».
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