Allerta peste suina, gli allevamenti ora si «blindano»

L’EMERGENZA. Anche se sul territorio bergamasco ancora nessun focolaio, rafforzate le misure di prevenzione. L’assessore Beduschi: non possiamo permetterci errori.

Cresce l’emergenza peste suina africana (Psa). Con 24 focolai nelle aziende del Nord Italia – 18 in Lombardia, 5 in Piemonte e 1 in Emilia-Romagna – e oltre 50.000 capi già abbattuti, l’allerta è ormai massima per gli allevatori. Un’allerta che è soprattutto economica, oltre che sanitaria, perché i danni ricadranno innanzitutto sulle aziende. Basta infatti la scoperta di un singolo caso di Psa per far scattare l’abbattimento di tutti i capi presenti in stalla. A rischiare di essere coinvolti, se l’espansione del virus non dovesse fermarsi, sono 385 allevamenti con 335 mila suini nella sola Bergamasca (che oggi però è a contagi zero), che diventano 2.739 allevamenti con 4 milioni 256mila capi in tutta la Lombardia dove è concentrato il 47% del patrimonio suinicolo italiano. A livello regionale, il valore stimato della produzione suinicola (a prezzi base) è di 1,37 miliardi su un totale di 5,6 miliardi dell’intera zootecnia lombarda.

Nessun rischio per l’essere umano

Per l’essere umano, invece, nessun rischio (il virus non è trasmissibile all’uomo). Dallo scorso 29 agosto, visto l’andamento sempre più preoccupante della situazione, sono in vigore le misure urgenti ( e stringenti) per la gestione dei focolai registrati negli allevamenti in Piemonte, Lombardia ed Emilia-Romagna contenute nell’ordinanza emessa dal commissario straordinario alla Psa Giovanni Filippini. Per la Lombardia in questo momento si tratta delle province di Pavia, Milano e, in parte, Lodi.

Nessun caso ancora a Bergamo

La provincia di Bergamo, non avendo attualmente focolai di Psa accertati non è soggetta agli ultimi provvedimenti, simili a quelli di un lockdown, decisi dal commissario. Le nuove regole sono infatti stringenti. Vietate le movimentazioni dei suini, ad eccezione di quelle verso il macello mentre non è permesso nessun nuovo ingresso in stalla. Inasprimento, poi, delle profilassi per evitare che gli operatori si trasformino inconsapevolmente in vettori dell’infezione: questo significa obbligo di utilizzo di dispositivi monouso (calzari, guanti), cambio abiti quando si entra nella stalla, divieto d’ingresso nell’allevamanto a persone e mezzi esterni.

«Pavia e Lodi hanno già subito un importante trattamento di depopolamento che di certo avrà ripercussioni serie sulle aziende, togliendo lavoro a loro e alla filiera» spiega l’assessore regionale all’Agricoltura, Sovranità alimentare e Foreste, Alessandro Beduschi. «Gli allevamenti - avverte - devono diventare dei veri e propri fortini, non possiamo permetterci errori».

Situazione allarmante

«La situazione è allarmante» conferma Roberto Valota, veterinario e vicepresidente di Confagricoltura Bergamo. «Come associazione confermiamo tutta la disponibilità possibile a far quello che serve». «Abbiamo messo in campo tutte le precauzioni possibili per mettere in sicurezza i nostri allevamenti - dichiara Gabriele Borella, presidente di Coldiretti Bergamo -. A livello politico ci stiamo muovendo perché i territori colpi da questa disgrazia abbiano gli aiuti economici necessari, perché ci sono aziende in grandissima difficoltà e servono risorse immediate per farle sopravvivere. Chiediamo azioni concrete a livello regionale per il contenimento della fauna selvatica, i cinghiali. Questa minaccia che può compromettere una filiera da oltre 20 miliardi a livello nazionale».

«Inutile dire che siamo molto preoccupati, il reddito della mia famiglia deriva prevalentemente dal nostro allevamento» racconta Maurizio Sassi , titolare di un’un’azienda agricola a Mozzanica che conta 4 mila capi. «L’escalation dell’ultimo mese - prosegue - ha visto arrivare la Psa nel lodigiano e in linea d’area è dietro l’angolo. Per ora noi non abbiamo restrizioni ma c’è grande attenzione nel mettere in atto le misure di biosicurezza per tenere lontano virus». «Abbiamo alzato le “barriere” per tenere la Psa all’esterno, un po’ come il distanziamento sociale e l’isolamento ai tempi del Covid» conclude l’allevatore bergamasco.

«La preoccupazione è alta anche per noi – conferma Mirko Zanini, allevatore di Grumello – perché la situazione è grave e temiamo che si sposti anche verso di noi. Io ho 9mila suini: siamo io, mio padre e mia sorella e 3 dipendenti che viviamo di questo e ad oggi risarcimenti non ve ne sono , se ci accadesse una cosa simile sarebbe la fine per la nostra azienda. Abbiamo costruito da poco un paio di capannoni e abbiamo quindi dei mutui. E svuotarci l’azienda da un giorno all’altro vorrebbe dire non riuscire più a ripartire».

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