Albini risale la china, ricavi su del 37%: obiettivo 200 milioni

Tessile. Una riorganizzazione e investimenti continui hanno portato il gruppo a superare i livelli prepandemia. L’a.d. Tamburini: puntiamo a consolidare la leadership.

Dopo un anno e mezzo e forse più trascorso a lavorare da casa - almeno chi poteva usufruire dello smart working - con il rientro in ufficio le tute sono state dismesse per ritornare ad un abbigliamento più consono. Questo ha consentito ad un settore come quello del tessile-abbigliamento, che durante l’emergenza sanitaria ha sofferto particolarmente - di riprendersi. E di ripresa può parlare Albini Group, che l’anno scorso ha visto risalire i ricavi: il fatturato consolidato è cresciuto del 37%, attestandosi a 180 milioni di euro, con l’export che pesa per il 75%, in un settore, quello della moda, che a livello nazionale è secondo per esportazioni. L’obiettivo, per il 2023, è quello di raggiungere i 200 milioni.

Si tratta del «miglior risultato di sempre», commenta Fabio Tamburini, amministratore delegato del Cotonificio Albini, «grazie all’ottima performance del Cotonificio, tornato ai livelli prepandemia», con un giro d’affari di 121 milioni. E qui non c’entra l’aumento dei prezzi dei listini, perché, come spiega Tamburini, «gli aumenti dei prezzi sono stati abbastanza contenuti, dato che l’azienda, per posizionamento di mercato, non lavora su una dinamica dei prezzi come elemento determinante». Ai buoni risultati del Cotonificio si aggiungono quelli di Ica Yarns, la divisione filati (il 20% destinati al Cotonificio, l’80% a clienti del comparto maglieria), che ha più che raddoppiato il giro d’affari, passato dai 27 milioni del 2020 ai 62 milioni del 2022.

Certo, alle spalle dei numeri del gruppo c’è una riorganizzazione interna - che ha impattato anche sul personale - affiancata da investimenti in sostenibilità, risparmio energetico, ricerca applicata e digitale. Archiviato un 2022 con il segno più, ora «siamo proiettati a consolidare la nostra leadership di mercato», continua Tamburini. Ma, pur «avendo recuperato una buona redditività», in un mondo globalizzato non ci sono mai momenti di tregua: «Ci aspettiamo che il mercato nei prossimi anni sia estremamente competitivo». Ecco perché uno dei tratti distintivi di Albini è la ricerca, con 45 persone dedicate: 40 nel quartier generale di Albino e cinque al Parco scientifico e tecnologico Kilometro Rosso dove ha sede Albini_next, il laboratorio dedicato alla sostenibilità. E «l’investimento in R&S, per essere un’azienda di beni intermedi, è molto importante: il 10% del fatturato», sottolinea Tamburini.

Il gruppo, noto soprattutto per i tessuti per camicie, conta quattro stabilimenti in Italia: oltre a quello di Albino, dove si trovano la tintoria, la tessitura e gli uffici, ci sono il centro logistico di Gandino, l’impianto di finissaggio di Brebbia (nel Varesotto), una filatura di cotone in Ungheria, un impianto di tessitura in Repubblica Ceca e un impianto di tessitura e tintoria ad Alessandria d’Egitto, per un totale di 1.170 dipendenti. Albini Group conta tre marchi - Albini 1876, Thomas Mason, Albiate 1830 - e cinque collezioni con i nomi dei brand citati, a cui si aggiungono Albini Donna e Albini Everywear. Solo il Cotonificio produce più di 11,3 milioni di metri di tessuto all’anno. «Al momento stiamo lavorando in modo sempre più importante per i nostri clienti di tutto il mondo, che appartengono al segmento lusso e premium», precisa Tamburini. Il Cotonificio da solo ne conta un migliaio.

Ed è per garantire elevati standard di qualità che il gruppo sceglie cotoni pregiati, come Giza, coltivato a Est del delta del Nilo, o Sea Island, alle Barbados, dove controlla il 90% della coltivazione. Da un paio d’anni Albini Group ha avviato un progetto in Puglia, nel Foggiano, avvalendosi di cooperative locali che hanno convertito le coltivazioni organiche-alimentari in coltivazioni di cotone. «La Puglia è ideale da questo punto di vista - afferma l’a.d. - oltre al fatto che è particolarmente importante riportare in Italia la coltivazione di cotone». Al momento i numeri sono ancora contenuti, perché parliamo di circa 44 mila chili di cotone, fino a 30 mila chili di filato per 120 mila metri di tessuto, ma «l’intenzione è quella di svilupparla in modo significativo».

Parlando di Puglia, a metà del 2021 il gruppo ha deciso di fermare la produzione della tessitura di Mottola (Taranto), avviata nel 2003, che dava lavoro a 108 persone. «Stiamo lavorando con la Regione Puglia per rilanciare l’attività, anche in settori diversi - dice Tamburini -. Avevamo quasi raggiunto una soluzione di vendita e di reindustrializzazione, ma la società interessata, dopo quasi un anno di trattative, si è tirata indietro. Siamo dovuti ripartire e abbiamo un discreto ottimismo di trovare una soluzione sempre in bonis».

© RIPRODUZIONE RISERVATA