Che ruolo giocherà l’idrogeno nella transizione ecologica?

AMBIENTE. Un incontro promosso da eco.bergamo con l’esperto Alessandro Clerici.

Che spazio avrà l’idrogeno nella transizione ecologica ed energetica? È ancora prematuro parlare di un’era dell’idrogeno? Come sempre accade parlando di approvvigionamento, sicurezza, efficienza delle fonti e delle tecnologie energetiche, una risposta semplice non esiste. E questo vale anche per l’idrogeno, che nel corso del tempo ha attraversato fasi di grande entusiasmo seguite da altre decisamente più scettiche.

Va ricordato che il contesto nel quale ci muoviamo vede la scommessa sull’idrogeno da parte della Commissione Europea, che lo considera come uno dei settori cruciali per il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione al 2050. Un impegno ufficializzato attraverso la Strategia Europea sull’idrogeno del luglio 2020, seguita dall’entrata in vigore della terza revisione della Renewable Energy Directive del novembre 2023.

Le prospettive sul futuro dell’idrogeno sono state al centro dell’incontro che si è svolto nella Sala capitolare del Convento di San Francesco, in Città Alta, nella sede del Museo delle Storie di Bergamo e dell’Archivio Fotografico Sestini. Presenti un gruppo di imprenditori bergamaschi particolarmente attivi nella promozione della sostenibilità, un club riunito dalla rivista eco.bergamo (che al tema idrogeno ha dedicato l’ultimo numero), pubblicata ogni mese come supplemento a L’Eco di Bergamo.

Si tratta di un Comitato che vede la presenza di Atb – Azienda Trasporti Bergamo, Confartigianato Imprese Bergamo, Covestro, Fine Foods & Pharmaceuticals Ntm, GFinance, Greenthesis – Rea, Grifal, Heidelberg Materials, Ing, Metano Nord, Montello, Siad, TenarisDalmine, Zanetti Formaggi.

A loro, in apertura di convegno, è andato il ringraziamento di Massimo Cincera, presidente di Sesaab, la società editrice de L’Eco di Bergamo, che ha ricordato le radici di questa felice iniziativa editoriale partita nell’agosto 2013, capace in tutti questi anni di accompagnare il dibattito sui temi cruciali legati alla tutela dell’ambiente e alla Green economy.

A introdurre i lavori è stata Daniela Taiocchi, attuale responsabile del supplemento ambientale, che ha ricordato come dal prossimo autunno eco.bergamo sarà presente anche online, come web magazine, proprio per favorire ulteriormente il dialogo con i lettori e i cittadini bergamaschi.

E poi il piatto forte dell’incontro, incentrato appunto sul futuro dell’idrogeno, con il contributo di Alessandro Clerici, autorevole esperto di energia, intervistato da Mauro Brolis, collaboratore di eco.bergamo.

Clerici, presidente onorario della Fast, Federazione delle associazioni scientifiche e tecniche, e del World Energy Council, ha fornito un quadro dettagliato e ricco di dati, partendo dalle sfide generate dalla transizione ecologica ed energetica in corso.

«L’energia – ha ricordato Clerici - è il fattore dominante per lo sviluppo sociale ed economico delle popolazioni, e lo sarà sempre di più. Si stima che la popolazione mondiale (oggi 8,1 miliardi) raggiungerà i 9,5 miliardi nel 2050. Con essa sono aumentati dal 2012 al 2022 i consumi di energia primaria (+14%), le emissioni di CO2 (+6,7%), la produzione di elettricità (+ 27%): il settore elettrico ha e avrà un ruolo sempre più importante e decisivo per lo sviluppo».

Sono tematiche che chiedono di essere affrontate con un approccio globale. «La UE conta ad oggi – ha ricordato Clerici – una quota del 7,9% delle emissioni climalteranti, ed al 2030 conterà meno del 6%. Pur riconoscendo l’importanza che ognuno debba contribuire alla decarbonizzazione, il suo annullamento al 2050 da parte dell’Europa darebbe un contributo marginale al raggiungimento dell’obiettivo globale». Da qui l’invito a passare da una costosa visione solo eurocentrica, con impatti sulla competitività Ue, a una prospettiva di investimenti con tecnologie verdi al di fuori di Ue, con procedure e ritorno di finanziamenti e investimenti tutti da approfondire.
Ed è in questo contesto che si inserisce anche il forte sviluppo delle fonti rinnovabili.

Lo scenario presentato dall’ingegnere ha mostrato un quadro piuttosto problematico, soprattutto in termini di costi da affrontare e di tempi e prestazioni delle energie rinnovabili, in particolare eolico e fotovoltaico, che, non essendo programmabili, hanno forti variazioni di produzione sia giornaliere che stagionali.

«Per questo occorre rendersi conto – ha evidenziato Clerici – che la transizione verso una decarbonizzazione non sarà semplice ed indolore. Ed occorre favorire un equilibrato sviluppo socio-economico, rispettando l’ambiente e preservando la competitività del Paese in un mercato globale. Occorre lavorare insieme a livello multi-partisan per una effettiva transizione, con approcci seri e con il conforto della ragione, senza adeguarsi passivamente alle ideologie che, tuttavia, hanno il merito di promuovere le innovazioni e le loro applicazioni».

L’obiettivo della decarbonizzazione al 2050 è una vera e propria sfida globale.
Le emissioni di CO2 dovute ai consumi energetici nel mondo sono circa 35 miliardi di tonnellate all’anno. «Per ridurle – afferma Clerici - occorre un approccio sistemico, tecnicamente neutrale, che dia pari opportunità a tutte le tecnologie attuali ed emergenti a zero/basse emissioni nel loro completo ciclo di vita, combinandole in un mix che porti ai minimi costi. I 2/3 di queste emissioni provengono dai Paesi non Ocse, in continuo aumento per poter fornire energia per il loro sviluppo sociale».

«L’Italia con il Pniec (Piano nazionale integrale energia e clima) per il 2030 si aspetta i principali contributi da fotovoltaico, 80 GW, ed eolico, 28 GW, di potenza installata, oltre 10.000 MW all’anno dal 2024, più del doppio di quanto fatto nel 2023, quando il Superbonus spingeva le installazioni, in gran parte di piccola taglia. Un obiettivo molto impegnativo e, a mio modo di vedere, poco realistico. L’efficienza energetica sembra aver perso la grinta di alcuni anni orsono, ma le nuove direttive Ue su riduzione dei consumi energetici in edifici in genere stanno ponendo obiettivi quantitativi e temporali su edifici esistenti e nuovi con non pochi problemi da risolvere su costi e finanziamenti».

Ma quanto conteranno sviluppo della rete di trasmissione e distribuzione e delle tecnologie per l’accumulo di energia ed altri servizi tecnologici per sicurezza e qualità delle forniture?
«Eolico e fotovoltaico, non programmabili e con forti variazioni di produzione sia giornaliere che stagionali, richiedono notevoli sistemi di stoccaggio e importanti sviluppi della rete, considerando – ahinoi – che in Italia i luoghi più assolati e ventosi si trovano prevalentemente al Sud, mentre i principali carichi di richiesta di consumi di energia si concentrano al Nord. In aggiunta, sono necessari mercati per fornire l’inerzia dei gruppi termici sostituiti da rinnovabili e energia sicura per sopperire a sostanziali mancanze di sole o vento».

LA SFIDA DELL’IDROGENO

In questo contesto si colloca la sfida dell’idrogeno, che non è una fonte di energia diretta, ma un vettore energetico e in quanto tale serve a immagazzinare e trasportare energia. Ci sono diversi modi per produrlo, ma i più utilizzati sono due. Il primo è l’elettrolisi, che per mezzo della corrente elettrica nell’acqua separa l’idrogeno dall’ossigeno e ha il vantaggio di non produrre CO2. E poi c’è il reforming a vapore, più utilizzato, che trasforma il gas naturale in idrogeno utilizzando vapore acqueo. Ma in questo caso si generano emissioni di carbonio.

L’idrogeno verde e l’idrogeno blu possono essere protagonisti di questa prospettiva? Con quali tempi e a quali condizioni?
«L’idrogeno è poco presente allo stato libero sulla terra e, come vettore energetico, può prodursi con vari processi che richiedono energia. Ha il grande vantaggio di non produrre CO2 quando viene bruciato e di poter essere utilizzato in vari settori. Presenta, però, alcune sfide, per esempio per la sicurezza nei suoi usi.
Al fianco dell’idrogeno verde da energie rinnovabili la produzione, priva di emissioni climalteranti, da energia nucleare o da combustibili fossili con cattura della CO2 prodotta (idrogeno blu) non può essere trascurata, soprattutto nella prima fase».

Sono molte le differenze tra i diversi Paesi del mondo.
Chi dispone di vento e sole abbondanti, con ore elevate equivalenti all’anno e bassi costi del kWh prodotto, ad esempio Cile, Medio Oriente, Australia e Marocco, sarà leader nella produzione di idrogeno verde a basso costo, grazie a sviluppi tecnologici, riduzione di costi degli elettrolizzatori e al loro corretto ed efficiente funzionamento, se alimentati da energie variabili.
Paesi, come Francia e Stati Uniti, con centrali nucleari con investimenti già ammortizzati e bassi costi del kWh prodotto, potranno da domani produrre un idrogeno blu privo di emissioni a prezzi interessanti.

«Lo sviluppo di idrogeno da fossili con sequestro della CO2 dipenderà dai costi e dalla disponibilità, in luoghi adeguati, di serbatoi per il trasporto e lo stoccaggio della CO2, fattori che incidono sul costo di produzione.
Per l’idrogeno verde – è il parere di Clerici - è necessario non farsi illusioni sulla competitività di una produzione italiana, dati i nostri costi del kWh da rinnovabili e loro ore equivalenti. La prospettiva dell’idrogeno blu di casa nostra con cattura della CO2 va comunque valutata attentamente, dati i possibili più bassi costi per un H2 nazionale».

Molte quindi le sfide che permangono ancora sul tavolo. E che rende certamente prematuro parlare di una vera e propria “era dell’idrogeno”. Ma la prospettiva affascina, e ben vengano gli investimenti in ricerca e sviluppo.

«La penetrazione dell’idrogeno verde deve affrontare diverse sfide tecnologiche: regole di sicurezza, sistemi di incentivazione e sostenibilità di costi finali in assenza di notevoli incentivi di lunga durata. Solo a queste condizioni potrà crescere la domanda dagli utenti finali nei vari settori. Dipenderà chiaramente anche dagli sviluppi tecnologici e dai costi di tecnologie alternative. Nei trasporti sono crollate negli ultimi due anni le vendite di veicoli a idrogeno in Cina, Giappone, Germania e Sud Corea, rispetto a un forte aumento dei veicoli elettrici.
I costi al kg dell’idrogeno verde dipendono dai costi e dalle ore equivalenti all’anno delle rinnovabili. Vedo una grande diversità tra i vari Paesi: chi utilizzerà solo risorse locali, chi si limiterà a importare, chi combinerà risorse locali e importazioni, chi produrrà idrogeno verde per esportazione. Costi ed evoluzione di grandi trasporti di idrogeno influenzeranno il mercato.
Il dominio per produzione, consumi dell’idrogeno e forniture a prezzi bassissimi di elettrolizzatori dalla Cina pone chiaramente problemi strategici, come già avvenuto per fotovoltaico, batterie ed eolico. E’ allora necessario verificare bene costi, tempi di realizzazione e prestazioni rispetto alle previsioni e forse riaggiustare scenari di sviluppo oggi forse troppo ambiziosi».

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