Cronaca
Lunedì 04 Maggio 2020
La scuola a settembre?
«Servono impianti di ventilazione»
L’ingegnere Pauletti si rivolge al Ministero in vista della ripresa. «L’impianto permette il ricambio dell’aria e abbassa la carica infettante».
Distanza e attenzione ai flussi d’aria, aveva avvisato alcuni giorni fa il virologo Roberto Burioni che, sul portale «Medical Facts», parlò di un caso di trasmissione avvenuto in un ristorante in Cina. In Bergamasca, l’ingegnere meccanico Luca Pauletti, membro della consulta industriale di Aicarr (Associazione italiana condizionamento dell’aria, riscaldamento e refrigerazione), ha approfondito il tema della qualità dell’aria nei luoghi chiusi: «Il ricambio, anche tramite impianti di ventilazione, permette di abbassare la carica infettante presente nell’aria».
Ingegnere, partiamo dal caso citato dal dottor Burioni, il condizionatore d’aria può aver influito sulla trasmissione del virus?
«In realtà, il problema non è l’impianto di aria condizionata ma il fatto che in un luogo chiuso, se manca il ricambio dell’aria si rischia, in presenza di persone asintomatiche o con altre patologie, di propagare questa carica infettante di virus o batteri».
In che misura può aver influito?
«Ha aggravato la situazione in modo marginale: lo split ha movimentato l’aria che ha così avuto un raggio di azione più ampio, senza un ricambio d’aria. Il punto centrale è se gli edifici abbiano un impianto di ventilazione che immette aria dall’esterno. È esperienza comune che, se facciamo una cena al chiuso con tante persone la qualità dell’aria diventa pessima».
Non sempre è possibile aprire le finestre.
«Negli edifici ad alto affollamento è quindi importante che ci sia un sistema meccanico di ricambio dell’aria. Pensiamo a un ufficio pubblico, solo aprire e chiudere le finestre d’inverno farebbe entrare l’aria fredda mentre d’estate quella calda. Non si potrebbe, sia per una questione di comfort, in quanto la temperatura interna cambierebbe, che di risparmio energetico».
Ci sono poi ambienti «blindati».
«Oggi non c’è nessun centro commerciale che non sia dotato di impianto di climatizzazione che includa anche il ricambio dell’aria, proporzionale al numero di persone che possono starci. Oltre una certa superficie è obbligatorio. In ambito tecnico, la norma di riferimento è la Uni 10339».
E per le scuole?
«Sembra che quando si parla di impianti di ventilazione o condizionamento nelle scuole o negli edifici pubblici si tratti solo di uno sfizio. Ma non è così. Nelle aule dove, per 4-5 ore, studiano 30 o anche solo 15 ragazzi, dopo 20 minuti l’ambiente è saturo di qualsiasi virus o batterio. Ora le scuole sono chiuse, ma il problema si ripresenterà a settembre».
Ritiene necessario dotare gli istituti scolastici di impianti di ventilazione?
«Ci sono già in Trentino Alto Adige. L’impianto di ventilazione meccanico controllato permette il ricambio dell’aria e quindi di abbassare la carica infettante. Pensiamo al periodo invernale, non è possibile solo aprire le finestre. Purtroppo, spesso nelle scuole gli impianti sono gli stessi di quando sono state costruite».
Cosa si può fare?
«Non possiamo prescindere dalla riqualificazione del patrimonio scolastico. L’impianto di ventilazione, come negli ospedali, dovrebbe far parte di quelli imprescindibili per la sicurezza. Ecco perché rivolgo un appello a Ministero, associazioni, sindacati, affinché si apra un tavolo per trovare investimenti e soluzioni: l’impianto di riscaldamento, condizionamento e ventilazione deve essere considerato un requisito indispensabile per la sicurezza sanitaria di tutti gli edifici a elevato affollamento».
Che intervento servirebbe?
«Spesso le palestre hanno già una macchina di trattamento dell’aria che, con due ventilatori, espelle quella presente all’interno immettendone, pulita dai particolati e riscaldata o raffreddata, dall’esterno. Si potranno aggiungere altre tubazioni che si diramano nelle classi. L’Italia ha le capacità: a livello europeo è tra i principi nella cultura della ventilazione e del condizionamento. E ritengo che, questi impianti, possano essere finanziati con i possibili fondi di cui si parla in ambito europeo per far fronte all’emergenza Coronavirus».
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