Fondi «anti spopolamento», ai Comuni bergamaschi nemmeno un euro

Enti locali. Su quasi 1.200 Comuni finanziati nel Paese, solo 32 in tutto il Nord. «Vanno rivisti i criteri di assegnazione, così penalizzati i virtuosi». Leggi l’approfondimento di due pagine su L’Eco di Bergamo in edicola giovedì 2 febbraio.

È stato pubblicato nelle scorse settimane in Gazzetta Ufficiale il decreto del presidente del Consiglio dei ministri che ripartisce il «Fondo di sostegno ai Comuni marginali» per gli anni 2021-2023 e tra i quasi 1.200 Comuni finanziati in tutta Italia, non ve ne è nemmeno uno della Bergamasca. Un risultato clamoroso, che ha agitato non poco gli amministratori del nostro territorio, soprattutto quelli delle valli, che in fatto di spopolamento hanno senz’altro qualcosa da dire. «L’attribuzione dei fondi – spiega il vicepresidente di Anci Lombardia Lucio De Luca – è calcolata con indici sbagliati. Così si considerano Comuni disagiati solo quelli a una certa latitudine, ma dobbiamo ragionare a livello di aree interne e disagiate a prescindere dalla collocazione territoriale Nord e Sud. Ci sono certe località anche da noi che sono abbandonate, con attività commerciali inesistenti, senza adeguati presidi medici. Quindi serve trovare i parametri corretti da considerare quando si assegnano questi fondi. Altrimenti verranno sempre premiati gli stessi Comuni che si trovano al Sud (e poi anche a questi Comuni non basta dare fondi, ma servirebbero delle politiche e dei piani per risollevarli)».

I 180 milioni di euro del fondo, infatti, sono stati assegnati a 1.187 Comuni selezionati per le loro condizioni particolarmente svantaggiate, perché hanno simultaneamente: un tasso di crescita della popolazione negativo sia nel lungo sia nel breve periodo; un Indice di vulnerabilità sociale e materiale (Ivsm) superiore alla media; un livello di redditi della popolazione residente inferiore alla media. Criteri, quelli scelti per la distribuzione delle risorse, sicuramente da rivedere visto che il decreto ha individuato 1.101 Comuni del Sud, ai quali andranno oltre 171 milioni di euro (il 95,2% del totale), 52 Comuni dell’Italia centrale (per 5,5 milioni di euro) e 34 del Nord (3,1 milioni di euro). «Mi sembra ormai una costante che all’atto pratico i fondi vadano verso il Sud – commenta Pietro Orrù, sindaco di Vilminore di Scalve –. Sono ormai 7 anni che sono amministratore e sono anni che è così: il flusso di denaro, soprattutto per i piccoli Comuni per questi bandi, spesso è indirizzato al Sud. Vanno quindi rivisti i criteri di assegnazione dei fondi, perché se tra l’altro premiano Comuni che hanno bilanci prossimi al dissesto o in dissesto, gioco forza i comuni del Nord, che sono virtuosi, risultano penalizzati».

Tutti i Comuni bergamaschi sono stati quindi esclusi dal fondo, chi perché non ha una popolazione decrescente nell’intervallo indicato, chi perché ha un Ivsm inferiore alla media e chi perché ha un reddito della popolazione residente superiore alla media. «Definire un Comune in una situazione di criticità come quella che stiamo vivendo nelle nostre valli valutandolo su un indice è altamente limitativo – commenta Fausto Dolci, sindaco di Costa Serina –, seppure sono consapevole che debbano esserci dei criteri di scelta. Sono però anche convinto che non sono questi fondi la soluzione allo spopolamento. Serve una riforma strutturale: sarebbe necessario un “reddito di montagna”. Un contributo che dia la possibilità di avere un aiuto a chi ha voglia di fare e di restare in montagna. Parlo di un supporto (non di un mantenimento) per i maggiori costi che si hanno a vivere in montagna (esempio per i trasporti). Un contributo strutturale tale da permettere ai cittadini di programmare la propria vita qui e di crearsi una famiglia e avere dei figli, perché lo spopolamento si abbatte coi figli».

«L’assegnazione di fondi a Comuni marginali è sempre positivo – conclude Gloria Carletti, sindaco di Foppolo –, ma è assurdo che si continui a parlare di spopolamento, aree interne e aree montane che hanno gravi difficoltà e poi non ci vengono dati sostegni. Si fanno tanti incontri sul tema, ma alla fine rimangono solo delle belle parole e molto teoriche. La gente di montagna, è vero, è resiliente e autonoma, ma non vuol dire che non abbia bisogno di aiuto: sono anni che la popolazione di queste zone è in forte difficoltà e se andiamo avanti così, le aree montane non avranno più abitanti, perché si fa fatica a crescere famiglie e bambini nelle nostre zone. Se non c’è un intervento concreto, non solo parole, non andrà meglio. E non servono risorse a pioggia, serve creare servizi e sviluppare un territorio per fare in modo che i nuclei famigliari restino sullo stesso».

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