Ex vigilessa uccisa, nelle intercettazioni i depistaggi del giovane: «Sarà fuggita»

Il 26enne di Roncola, arrestato venerdì insieme alle due figlie della vittima, era intercettato al telefono. Era iscritto a un sito di «crime». L’«errore» delle scarpe. E con le complici tradito dal «contapassi» della vittima.

«Detto tra me e te, io ci sto pensando ultimamente che magari ha dirottato dei soldi nel corso del tempo su un altro conto e adesso si sta facendo la bella vita da qualche parte». Sono le 15,58 del 31 maggio scorso. Laura Ziliani è scomparsa da 23 giorni e Mirto Milani, fidanzato di una delle due figlie dell’ex vigilessa bresciana, è al telefono con un amico. Nella chiamata, intercettata dagli inquirenti che già avevano concentrato i loro sospetti nell’ambito familiare, il ventiseienne di casa alla contrada Cà Mosché di Roncola San Bernardo – arrestato venerdì all’alba con le due figlie della cinquantacinquenne, Silvia e Paola Zani, 26 e 19 anni – avalla l’ipotesi della scomparsa volontaria. E l’amico ne è a sua volta convinto: «Sai che la scarpa sarebbe una mossa a dir poco geniale?», dice a Mirto, facendo riferimento al ritrovamento di una delle scarpe della donna (poi – ricostruiranno gli investigatori – lasciata appositamente da Milani e fidanzata nel tentativo di far credere che la Ziliani fosse finita nel fiume). «Si era preparata una macchina per svignarsela», aggiunge Mirto, che fa poi riferimento a ipotetici debiti contratti dalla Ziliani nel corso degli anni quale potenziale motivo per la sua scomparsa volontaria.

In realtà gli inquirenti hanno ricostruito che la donna non solo non aveva debiti, ma ogni mese percepiva 1.100 euro di stipendio come dipendente del Comune di Roncadelle, 1.000 euro di pensione di reversibilità del marito (morto nel 2012) e 250 euro come pensione di invalidità per la terza figlia, Lucia, affetta da un lieve ritardo cognitivo. Oltre a questo c’erano le entrate, corpose, dell’affitto dei numerosi appartamenti di proprietà sua e anche già delle tre figlie. Per chi indaga, le sorelle Silvia e Paola e Mirto Milani l’avrebbero uccisa, avvelenandola con gli psicofarmaci nella loro casa di Temù la notte tra il 7 e l’8 maggio, proprio per entrare in possesso esclusivo dell’ingente patrimonio immobiliare di famiglia. Quando si sono sentiti alle strette, figlie e fidanzato hanno adottato una serie di tentativi di depistaggio talvolta piuttosto grossolani: per esempio, alla richiesta dei carabinieri di consegnare i loro cellulari, prima ne avevano forniti dei modelli nuovi e praticamente comperati apposta, sostenendo di aver venduto a un immigrato in stazione a Brescia i loro, per motivi economici. Dopodiché, visto che la storia non stava in piedi, hanno fatto avere i loro cellulari originali, ma «riportati alle condizioni di fabbrica»: vale a dire cancellati di tutti i contenuti, dalle foto ai messaggi. E quindi inutilizzabili per le indagini.

Alla richiesta degli inquirenti del perché avessero agito così, le due sorelle si sono giustificate sostenendo di aver temuto che venissero a galla alcuni contenuti riservati, foto e messaggi legati a loro rapporti sentimentali e non certo – hanno precisato – collegati alla scomparsa della madre. Già il precedente sequestro di un computer dall’appartamento bresciano frequentato anche da Mirto aveva preoccupato Paola Zani che, al telefono con un’amica, il 7 luglio diceva: «Su un canale di “crime” Mirto ha fatto ricerche su come uccidere la gente, piante velenose, crimini perfetti, serial killer, torture», sostenendo che anche lei e la sorella erano iscritte a un canale Youtube sui crimini.

Le analisi informatiche sul cellulare della vittima hanno invece chiarito che Laura Ziliani, a differenza di quanto riferito dalle figlie ai carabinieri, la mattina del giorno della sua scomparsa non ha usato il suo smartphone. Il cui dispositivo «contapassi» ha però registrato 38 passi tra le 8 e le 8,20, in un orario in cui già avrebbe dovuto giacere sotto una panca della cantina dell’appartamento di via Temù dove Silvia Zani lo avrebbe trovato soltanto alle successive 13,49. Ma se Laura era uscita di casa alle 7 per andare in montagna – come da dichiarazioni delle due figlie – e a quell’ora aveva quindi già perso il cellulare in cantina, chi lo aveva spostato? E come mai lo stesso contapassi non ha registrato spostamenti tra le 6,30 e le 7 quando, a dire di figlia e fidanzate, Laura si era alzata e aveva raggiunto il soggiorno per fare colazione? Evidentemente la donna – ricostruiscono gli inquirenti – era già stata avvelenata nella notte con la pesante dose di psicofarmaci e solo alle 8 il suo cellulare era stato portato in cantina come depistaggio.

C’è poi il ruolo della nonna materna delle due arrestate, Marisa Cinelli, madre di Laura, che si è sempre detta sospettosa nei confronti di Silvia, Paola e Mirto. Sentita dai carabinieri il 17 giugno, aveva riferito di una violenta lite tra Mirto e Laura scaturita dalle «sgradite ingerenze» del giovane nella gestione del patrimonio familiare. Ha poi raccontato di nipoti «sfuggenti» nei giorni dopo la scomparsa di Laura: «Non credo che mia figlia si sia smarrita nel bosco – conclude –: continuo ad avere il dubbio che nemmeno sia uscita dalla sua abitazione la mattina dell’8 maggio. È il mio cuore di mamma che me lo dice».

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