Economia e giustizia
Governo al tramonto

Il governo e la maggioranza hanno affrontato ieri l’ennesima prova «risolutiva», una di quelle che possono mettere a rischio la sua esistenza precaria e, in fondo, già segnata. E la prova riguarda la riforma della giustizia messa a punto dal Guardasigilli Bonafede, grillino fedelissimo di Di Maio e sponsor di Giuseppe Conte quando era uno sconosciuto professore di Diritto. Bene, per Di Maio la riforma è addirittura «epocale»; per Salvini è niente altro che «acqua fresca».

Giudizi agli antipodi. Secondo il capo grillino la riforma – qualora mai divenga legge, beninteso – consentirà all’amministrazione giudiziaria una rivoluzione («Chi sbaglia paga subito») mentre per la Lega manca di troppe cose, dalla separazione delle carriere al dimezzamento dei tempi processuali, e oltretutto non tocca la prescrizione che i grillini vogliono senza limiti mentre i leghisti sul punto la pensano proprio come Forza Italia: «riforma manettara e giustizialista».

È facile pensare che la riforma Bonafede vada velocemente verso il nulla, accatastando fieno per chi si prepara per la campagna elettorale, chissà quando, forse in primavera se Salvini si deciderà ad ascoltare i suoi colonnelli e a recidere il legame con il M5S. Ma non è ancora chiaro quale sia la vera intenzione del Capitano. Certo gli stanno arrivando le doglianze dei ceti produttivi del Nord che oggi hanno visto nero su bianco le statistiche sul Pil che già temevano i vari uffici studi: l’economia italiana è ferma, piatta, alla crescita zero, e oltretutto per la prima volta da un decennio persino la produzione industriale lombarda arretra. Non è una situazione che la Lega può accettare per troppo tempo, pena una punizione elettorale che potrebbe arrivare fulminea – come fu per Matteo Renzi – se gli imprenditori, i commercianti, gli artigiani, i professionisti non vedessero ancora a lungo qualche risultato sul piano dell’economia.

Certo, da Conte è arrivato il segnale rassicurante sulla Tav ma molti già lo davano per scontato: le condizioni erano tali che fermare i cantieri sarebbe stato più impossibile che costoso e Conte, che a differenza di tanti grillini maneggia codici e contratti, lo sapeva benissimo sin dall’inizio. Ora i grillini nell’aula parlamentare daranno sfogo ai loro slogan identitari di un tempo sapendo benissimo che la loro è semplicemente una rappresentazione ad uso dell’elettorato (che però ormai è avvertito e non nasconde la delusione, come hanno fatto ampiamente i pugliesi anti-Ilva e anti-Tap). Quanto all’autonomia regionale, anche in questo caso le regioni del Nord aspettano che a Roma qualcosa si muova ma – al netto dell’attivismo di Conte – non c’è ancora nessun vero risultato di tipo generale, si sta fermi sulle singole questioni ma non si riesce a fare un vero passo avanti: i governatori (leghisti) protestano ormai quasi ogni giorno. Anche perché essi stessi devono rendere conto all’elettorato chiamato ad esprimersi nei referendum.

Questi dunque i tanti punti di doglianza che si accumulano ad ogni passaggio politico e parlamentare: il Consiglio dei ministri di ieri pomeriggio dedicato alla riforma delle giustizia che si apre e si chiude nel giro di cinque minuti perché non c’è neanche l’ombra di un accordo è la dimostrazione persino plastica di questa incomunicabilità tra i due partiti che è ormai cronica. E che fa pensare davvero ad un qualche esito in tempi relativamente brevi. Il 6 agosto, martedì prossimo, si voterà in Senato sul decreto sicurezza bis: vedremo se il dissenso di tanti senatori grillini a forza condurrà le cose laddove i leader non hanno ancora deciso di andare.

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