Dal sogno della Padania all’addio alla Lega
Ecco chi era Franco Colleoni

Segretario dal 1999 al 2005, bossiano di ferro, Franco Colleoni è stato anche assessore in Provincia I rapporti difficili con Forza Italia nel centrodestra, poi l’uscita di scena e il voto alle elezioni del 2013 ai Cinque Stelle

«Padania libera». Fino a quando Franco Colleoni è rimasto nella Lega rispondeva così al telefono. Poi dopo le dimissioni dalla segreteria provinciale nel 2005 la sua strada e quella del movimento si sono divise e il Carroccio è rimasto solo il nome del suo ristorante di Brembo di Dalmine, dove ieri è stato trovato senza vita. Morto lo stesso giorno di Marco Formentini, primo (e finora solo) sindaco leghista di Milano: nel 1997 erano stati eletti insieme al Parlamento di Mantova, nelle lista dei «Democratici europei, lavoro padano».

Colleoni era un leghista duro e puro «un soldato sempre in prima fila per il movimento» lo ricorda Roberto Calderoli: «Ha iniziato a militare ad inizio anni ’90 con grande passione, prima a Dalmine, poi segretario di circoscrizione e dal 1995 assessore in Provincia». La Giunta di Giovanni Cappelluzzo che da un lato si era aperta in modo quasi rassicurante (per gli altri) alla società civile pescando a piene mani nelle associazioni, dall’altro cautelata con assessori di provata fede. Leghista, ovviamente: un monocolore che per 4 anni aveva mandato sotto qualsiasi tentativo di opposizione, pure trasversale.

Dai mercati a Via Tasso Colleoni era consigliere comunale a Dalmine, aveva anche fatto l’ambulante (di generi alimentari) nei mercati prima di darsi alla ristorazione e questo aveva affinato una certa qual capacità comunicativa. Cappelluzzo gli affida l’assessorato a Caccia, pesca e attività agrosilvopastorali e lui batte palmo a palmo il territorio in tempi poco più che pionieristici. «Non era un uomo del primissimo giro della Lega, quello degli anni ’80, ma arriva sicuramente subito dopo» ricorda Daniele Belotti, all’epoca segretario provinciale e ora deputato. Nel 1999 sarà proprio Colleoni a subentrargli alla segreteria dopo che la Lega ha perso la Provincia e rischia di saltare in aria. Al congresso di Brembate Sopra arrivano in 4, al ballottaggio Colleoni ce la fa per soli 17 voti.

«Se c’era qualcosa da fare lui c’era, sempre in prima fila» ricorda Belotti. Come nel 2004 quando è sulle barricate per impedire che la spazzatura di Napoli venga bruciata nella sua Dalmine: il primo Tir dalla Campania lo blocca proprio lui, fisicamente, svegliandosi di soprassalto la mattina da sotto un gazebo. Ma c’era anche «quando nel 1997 se non ricordo male l’anno occupammo tutto il palazzo di Via Tasso, Prefettura compresa, per protestare contro le quote latte» ricorda Calderoli. «Io arrivai dritto sparato nell’ufficio del prefetto: la celere era schierata davanti al palazzo ma qualcuno ci aprì da dietro e noi entrammo». C’è chi scommette sia stato proprio Colleoni, ma tutti sembrano non ricordare.

Il leghista da combattimento «Se è stato lui? Mah, non si può dire. Certo che è stato un leghista di quelli davvero combattivi. Lo conoscevo da una vita, mio zio abita a 50 metri da lui» ricorda Giacomo Stucchi, primo dei consiglieri non eletti in quel 1995 in Provincia: «Poi Colleoni e altri si dimisero per fare gli assessori e divenni capogruppo». E l’anno dopo «è stato proprio lui come segretario di Circoscrizione a fare il mio nome come candidato alla Camera per il collegio della Pianura centrale: l’uscente Antonio Magri non si era ricandidato, le chance di vittoria non erano granché e si decise di puntare su un giovane che non aveva nulla da perdere». E che finisce a Roma con il 41% di voti in una Lega che correva da sola.

L’ossessione della Lega da sola Un’autentica ossessione quella della corsa in solitudine per Colleoni che ha sempre avuto difficoltà a stare nel centrodestra. Vuoi che nel 2001, sotto la sua segreteria, il Carroccio nella Casa delle libertà in pratica dimezza i consensi scendendo al 21,5%, vuoi i rapporti difficili con Forza Italia e le sue varie (sterminate) anime. Una situazione complicatissima che trova l’apice nel 2004 e proprio nel suo ristorante dalle pareti tappezzate di manifesti leghisti d’antan, crocevia di mille battaglie politiche e vertici più o meno segreti: quello dove molte volte è passato un giovane Matteo Salvini che ieri ha ricordato Colleoni «con stima e affetto, con lui ho condiviso anni di battaglie, sconfitte e vittorie».

Il 2004, dicevamo: siamo ai ballottaggi, il centrosinistra (con Roberto Bruni) è davanti in città, il centrodestra con Valerio Bettoni in Provincia, ma senza la Lega che corre da sola proprio con Stucchi, fuori dai giochi al primo giro. Metà Forza Italia cerca l’apparentamento per evitare una sconfitta di Cesare Veneziani, ma l’altra metà non ne vuol sentire parlare: idem Bettoni, convinto (a ragione) di poter vincere da solo e che dice «no grazie» anche a un Berlusconi che lo chiama una domenica mattina presto per convincerlo. Vanamente. La situazione si sblocca solo a poche ore dal termine ultimo per gli apparentamenti con un accordo obtorto collo tra la Lega e (metà) Forza Italia.

L’appuntamento è «al ristorante del Colleoni», ma dopo un’ora abbondante di attesa non c’è traccia del sindaco. Giro di telefonate e si scopre che il suo entourage pensava alla «Taverna del Colleoni», ergo lui è lì in Piazza Vecchia. Corsa a rotta di collo verso Dalmine e al «Carroccio» viene siglato quello che l’allora vicedirettore de L’Eco di Bergamo Franco Cattaneo, con una genialata delle sue, battezza come «il patto dei casonsèi» e così finisce su tutti i giornali nazionali. Ma alle urne il piatto si rivela parecchio indigesto, visto che vincono Bruni e Bettoni. La barca ceca e i Cinque Stelle Qualche mese dopo Colleoni lascia la segreteria e gli subentra Cristiano Forte, prima come commissario e poi al vertice. Dal 2005 non rinnova più la tessera del Carroccio ed esce di scena.

Si dedica al suo ristorante e acquista in Turchia un caicco, una barca per escursioni (che poi rivende), che chiama «Mare ceco» e registra in Repubblica Ceca a condizioni di favore visto che da quelle parti il mare non c’è. Un discreto colpo, si dice. Riappare nel 2012 nel bel mezzo di un’altra tempesta in casa Lega, quella che mette fuori gioco Bossi, e non usa giri di parole: «L’Umberto è stato usato in modo ignobile» ribadendo la propria marcata vocazione indipendentista sempre più minoritaria nel Carroccio. Forse per questo che nel 2013 fa capolino in piazza Vittorio Veneto ad un comizio di Beppe Grillo e a urne chiuse confessa di avere votato per i 5Stelle «perché mi ricordavano la prima Lega che aveva voglia di cambiare». L’ultima uscita di una vita politica comunque vissuta nel nome del Carroccio. Lo stesso nome che ha segnato i suoi ultimi attimi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA